L’atteso incontro bilaterale tra India e Pakistan salta. Delhi accusa Islamabad di aver avviato un’escalation militare e propagandistica al confine e in Kashmir. E Washington cancella gli aiuti lamentando lo scarso impegno contro i talebani. Per il nuovo premier Khan la strada è tutta in salita
Nei primi nove mesi dell’anno, gli scontri lungo il confine indo-pachistano sono quadruplicati rispetto al 2017. Secondo New Delhi non ci sono le condizioni sufficienti per ripristinare il dialogo bilaterale auspicato dal nuovo primo ministro pachistano Imran Khan, che incassa anche il rifiuto da parte di Washington di intercedere in favore della ripresa del processo di normalizzazione dei rapporti. Porta chiusa pure sul sostegno militare. A inizio settembre il governo Trump ha annullato lo stanziamento di 300 milioni di dollari di aiuti destinati al Pakistan. Decisione dettata dallo scarso impegno di Islamabad nel contrastare i Talebani lungo il confine afgano.
La possibile ripresa del dialogo tra le due potenze nucleari era emersa all’indomani della vittoria elettorale di Khan, salutata dal primo ministro indiano Narendra Modi auspicando un «coinvolgimento significativo e costruttivo» nei rapporti bilaterali. Dichiarazione cui aveva replicato il nuovo primo ministro pachistano in un tweet affermando che “Per andare oltre, Pakistan e India devono dialogare e risolvere i conflitti, incluso il Kashmir (regione contesa tra i due Paesi sin dall’indipendenza del 1947). Il miglior modo di ridurre la povertà e sollevare la gente del subcontinente è risolvere le nostre differenze attraverso il dialogo e iniziare a commerciare”. L’illusione è durata fino alla scorsa settimana, quando è stato annullato l’incontro fissato tra il nuovo ministro degli Esteri pachistano Shah Mahmood Qureshi e quello indiano Sushma Swaraj, previsto a margine della 73esma assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. La decisione di cancellare il faccia a faccia va attribuita a New Delhi e sembra sia stata determinata da due episodi: l’intensificazione degli scontri al confine, culminati con l’uccisione di un soldato indiano; la diffusione di volantini di denuncia sugli abusi dell’India in Kashmir.
Il primo episodio ci porta lungo l’International Border e la Line of Control, così come sono chiamati i confini in Jammu e Kashmir. Qui, secondo il direttore generale della Border Security Force indiana, Krishan Kumar Sharma, dimessosi a fine settembre, dall’instaurazione del nuovo governo Khan sarebbe aumentata l’aggressività delle truppe di frontiera pachistane. Situazione sfociata nell’uccisione di un soldato della Border Security Force (Bsf, la branca dell’esercito indiano operante in difesa dei confini nazionali) il 18 settembre, attribuita da New Delhi agli uomini del Border Action Team (Bat, la controparte pachistana). Azione per la quale l’esercito indiano ha promesso rappresaglie nei luoghi e nei tempi opportuni. Tanto è bastato a indurre Islamabad a creare un’area cuscinetto di 5 chilometri in prossimità del settore in cui è avvenuta l’uccisione del soldato della Bsf, arrivando a evacuare i civili dai villaggi per limitare l’efficacia dei (possibili) “blitz chirurgici” solitamente usati da New Delhi per colpire obbiettivi terroristici all’interno del territorio pachistano.
La morte del militare indiano ha portato a 12 il computo delle vittime al confine nei primi nove mesi dell’anno, cui si aggiungono 40 feriti in 498 episodi. Sono i dati riportati dai media indiani e diffusi dal Press Trust of India, l’agenzia stampa nazionale. Si tratta del picco più alto degli ultimi anni: 111 episodi nel 2017, 204 nel 2016, 350 nel 2015 e 127 nel 2014. Malgrado le cifre e malgrado Sharma abbia additato la morte del soldato Bsf come un atto di aggressione, assicurando che dall’insediamento del governo Khan in Pakistan la pressione lungo Ib e Loc sia aumentata, l’incontro tra i due ministri degli esteri a New York era rimasto in agenda.
La situazione è precipitata a fine settembre, dopo la diffusione di ventimila volantini in cui si denunciano le atrocità commesse dall’esercito indiano in Kashmir, area in cui gode di una condizione di impunità garantita dal Armed Forces Special Powers Act. Vale a dire carta bianca nella repressione, ammettendo l’uso della violenza sulla popolazione civile, il ricorso a torture, incarcerazioni preventive e l’impiego di munizioni “a salve” in grado di uccidere decine di persone, di mutilare o di accecare i manifestanti. New Delhi ha quindi responsabilizzato Islamabad per la diffusione del materiale di denuncia, nel quale, oltre ad accusare l’esercito indiano di commettere atrocità in Kashmir, viene denunciata l’uccisione di 18 kashmiri disarmati nelle ultime due settimane di settembre. Se la morte di un soldato al confine è un’evenienza ammissibile da New Delhi, non lo è affatto la diffusione di materiale critico sulla condotta in Kashmir. Tantomeno in un momento politico delicato, con le elezioni generali alle porte (aprile-maggio 2019) e Narendra Modi con ogni probabilità avviato verso il suo secondo mandato alla guida del Paese.
Incassate le chiusure dell’India e degli Stati Uniti sulla riapertura del dialogo bilaterale, il governo Khan ha replicato sottolineando le possibili implicazioni. Lo ha fatto direttamente a New York per voce di Qureshi, all’indomani dell’incontro del 2 ottobre con il segretario di stato americano Mike Pompeo e con il National security advisor John Bolton. Appreso il rifiuto di Washington a mediare nella ripresa del dialogo con l’India, il ministro degli Esteri del governo Khan ha avvisato che la mancanza di relazioni bilaterali con New Delhi e la conseguente tensione sulla frontiera indiana, impedisce al Pakistan di concentrarsi sul confine occidentale. Vale a dire supporto limitato agli Usa sul fronte afgano, nel confronto con i guerriglieri talebani, in un momento in cui Washington si aspetta un aiuto concreto da parte di Islamabad per includere i talebani nel dialogo per la pacificazione dell’Afghanistan.
Islamabad ha poi annullato all’ultimo minuto l’intervento dell’Indian high commissioner Ajay Bisaria presso l’Istituto nazionale di politica pubblica, previsto il 4 ottobre a Lahore. Cancellazione motivata dalla mancanza delle dovute autorizzazioni da parte del ministero degli Esteri pachistano. Poi ancora, le autorità pachistane hanno confermato il prolungamento della chiusura del confine di Katarpur, passaggio storicamente usato da centinaia di migliaia di pellegrini sikh che dal Punjab indiano vanno in pellegrinaggio in un santuario nel vicino Pakistan. Passaggio interdetto, almeno fino alla ripresa del dialogo bilaterale.
Relazioni pericolose dunque per la stabilità regionale, ma anche svantaggiose. Lo sostiene la Banca Mondiale in un recente report nel quale sottolinea come il potenziale degli scambi commerciali tra le due potenze nucleari sia di 37 miliardi di dollari annui. Questo vale in condizioni di pace, di fatto però gli scambi restano congelati, al pari del dialogo. A pagarne le conseguenze è soprattutto il Pakistan di Imran Khan, la cui priorità è il rilancio dell’economia del Paese e garantire a milioni di giovani in età da lavoro nuovi sbocchi professionali come alternativa alle migrazioni, alla miseria e alla militanza armata.
@EmaConfortin
L’atteso incontro bilaterale tra India e Pakistan salta. Delhi accusa Islamabad di aver avviato un’escalation militare e propagandistica al confine e in Kashmir. E Washington cancella gli aiuti lamentando lo scarso impegno contro i talebani. Per il nuovo premier Khan la strada è tutta in salita