Il vicepresidente dell’Indian National Congress in settimana ha lanciato accuse pesantissime contro il Primo Ministro Narendra Modi, sostenendo di avere informazioni riservate su un reato di corruzione in cui sarebbe coinvolto. La maggioranza si difende dicendo che Gandhi ha raccontato la barzelletta dell’anno, ma tutti ora aspettano che alle accuse dell’Inc facciano seguito delle prove concrete.
Gli strascichi politici della demonetizzazione si sono inevitabilmente fatti sentire anche al Parlamento federale di New Delhi, riunito nelle ultime settimane per la sessione invernale. Come tradizione della democrazia più «grossa» del mondo, i lavori delle due camere sono stati ostacolati dalle proteste dell’opposizione, che intendeva intavolare una discussione sulla demonetizzazione imposta unilateralmente dall’esecutivo di Modi: un’iniziativa a sorpresa che, per definizione, non è stata messa al vaglio dell’assemblea parlamentare.
Ma questa volta, in aggiunta alla classica ostruzione dell’opposizione, i lavori della Lok Sabha e della Rajiya Sabha pare siano stati interrotti anche dalle proteste dei parlamentari della maggioranza. Un comportamento apparentemente senza senso, considerando che il governo Modi ha molta necessità di far passare leggi e riforme, specie in materia fiscale, rafforzando la «fiducia dei mercati» e l’immagine di «governo riformista» affibbiata all’esecutivo di Modi da gran parte della stampa internazionale. Bloccare la propria azione di governo in parlamento va contro questo due imperativi categorici e ha mostrato alla stampa internazionale la scena imbarazzante di un parlamento completamente paralizzato per quasi un mese: delle decine di proposte di legge in lista per la discussione, a venerdì 16 dicembre (ultimo giorno della sessione parlamentare invernale) ne sono passate solo due: l’Income Tax Bill e una legge a tutela dei disabili.
L’auto-ostruzionismo sembra evidentemente giustificato dalla necessità di insistere sull’inevitabilità della demonetizzazione, evitando un confronto parlamentare in cui tutte le perplessità sulla manovra possano essere messe in piazza dalle opposizioni. Ma, secondo Rahul Gandhi, le proteste della maggioranza avrebbero anche l’obiettivo di non permettergli di comunicare all’assemblea le notizie esplosive che il leader dell’Inc avrebbe su Modi.
Mercoledì 14 dicembre Gandhi, in una delle conferenze stampa lampo fuori dall’aula, ha infatti denunciato davanti alla stampa nazionale l’ipotesi di reato di corruzione ai danni di Modi. Un fatto su cui Rahul Gandhi avrebbe delle informazioni riservate che proverebbero la «corruzione personale» di Narendra Modi, fino ad oggi descritto come un governante tra l’incorruttibile e l’ascetico. Gandhi, con ancora due giorni di lavori previsti in parlamento, aveva spiegato che l’ostruzione della maggioranza era stata architettata per non farlo parlare in aula, dimostrazione che il Bharatiya Janata Party (Bjp) di Narendra Modi «ha paura» delle rivelazioni minacciate dall’Inc.
Da allora nulla è cambiato in parlamento e con poche ore dal termine dei lavori invernali ancora non si sa nulla di preciso circa le accuse rivolte contro Modi. Rahul Gandhi, non senza pretattica, pare abbia deciso di temporeggiare al massimo sulle rivelazioni, insistendo sulla necessità istituzionale di rivelarle all’interno del parlamento. Probabilmente non ci riuscirà, facendo aumentare l’attesa per un annuncio fatto finora a metà e che, se manterrà le premesse, potrebbe rappresentare il colpo più violento inferto dalle opposizioni all’esecutivo Modi da due anni e mezzo a questa parte.
@majunteo