Il 23 giugno 2016 si è svolto in tutto il Regno Unito un referendum a consultazione popolare, riguardante la permanenza o meno nell’Unione Europea dei sudditi di Sua Maestà Elisabetta II. L’autodeterminazione del popolo britannico si è espressa con un voto di maggioranza del 51,9% a favore del “Leave”, l’uscita del Regno Unito dall’UE: da qui il termine “Brexit” (risultante dall’unione tra le parole “Britan” ed “exit”). Ma a livello informativo e di sicurezza nazionale cosa cambia e cosa potrebbe cambiare da tutto questo? Quali sono le principali conseguenze che un tale avvenimento potrebbe decretare nella gestione dell’intelligence britannica ed europea?
MI5 e MI6
Eliza Manningham-Buller, capo dell’MI5 (il servizio segreto britannico interno) dal 2002 al 2007, ha recentemente perorato la causa del “Remain”, sostenendo che in un periodo particolare come quello che la comunità britannica sta attualmente attraversando, dove viene considerata “molto probabile” la possibilità che attentati terroristici si verifichino all’interno dei confini del Regno Unito, la sicurezza personale dei cittadini britannici sarebbe sicuramente più tutelata all’interno della politica comunitaria europea, invece che all’esterno di essa. Questa affermazione troverebbe fondamento nel fatto che la Gran Bretagna ha da sempre avuto un ruolo di grande influenza nel Forum europeo; quindi, le possibilità di trattativa o di gestione preventiva dell’evento terroristico verrebbero meno in caso di isolamento totale da Bruxelles. Di parere diametralmente opposto è Richard Dearlove, capo dell’MI6 (il servizio segreto esterno britannico) dal 1999 al 2004, che considera l’episodio Brexit come una grande opportunità da sfruttare al fine di innalzare il livello di sicurezza dei cittadini britannici. Questo fatto sarebbe possibile tramite l’adozione di una politica immigratoria molto severa, che permetta il controllo e la gestione capillare degli attuali flussi migratori da parte del governo e degli organi di sicurezza delegati.
La collaborazione “do ut des”
Un altro argomento spinoso che si è costretti ad affrontare è senza dubbio la situazione relativa allo scambio bilaterale delle varie informazioni d’intelligence. Aldilà del fatto che il risultato finale di questa attività do ut des possa avvantaggiare più la UE che il Regno Unito, è certamente indubbio il fatto che entrambi gli schieramenti traggano reciproci vantaggi dalla attuale collaborazione di natura bilaterale: la condivisione delle informazioni di sicurezza a livello europeo ha permesso sino ad oggi di proteggere il vecchio continente da attacchi e infiltrazioni terroristiche di varia natura. La politica stay safe è stata attuata in parallelo a quella stay connected, come è ovvio che sia, e l’una non poteva prescindere dall’altra.
Dopo Brexit questo meccanismo potrebbe subire una pesante battuta d’arresto, se le nazioni-guida dell’Europa (Germania e Francia in primis) decidessero di accentrare il flusso delle informazioni e delle attività di intelligence all’interno della comunità europea, invece che continuare a condividerle con il Regno Unito.
La situazione geopolitica attuale
Ma per meglio comprendere la vicenda e i possibili sviluppi futuri occorre analizzare l’attuale situazione geopolitica. L’indizione di un referendum popolare è un atto del governo e, come tale, da esso proviene e si sviluppa nel naturale (o meno) corso degli eventi. Quindi, l’episodio Brexit può essere letto senza troppe forzature come un atto di matrice politica. Se così proviamo ad interpretarlo, alla luce anche dell’omicidio a tinte fosche di cui è stata vittima la deputata laburista Jo Cox, risulta assolutamente palese (e basta rilevare l’orientamento dei media nei giorni precedenti al voto per convincersi di questa affermazione) che il clima sociale e politico che ha determinato il risultato finale è stato orientato da alcuni centri di potere sin dal principio alla scelta dell’uscita del Regno Unito dalla UE. Questo risultato elettorale e le sue conseguenze politiche vanno inquadrate nella situazione attuale in cui opera l’intelligence britannica.
Conclusioni
L’MI5 e l’MI6 non sono subordinati direttamente al Primo Ministro britannico, ma prestano direttamente la loro opera a Sua Maestà la Regina (come ci ha recentemente ricordato il Gen. Mori in un’intervista); inoltre queste strutture d’intelligence sono inquadrate a pieno titolo nel sistema “Five Eyes”, struttura internazionale di sicurezza e di condivisione d’informazioni risultante dalla cooperazione di cinque dei migliori servizi di controspionaggio al mondo: Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Canada e Nuova Zelanda. Pertanto, possiamo certamente affermare che i servizi segreti britannici non verranno mai privati del loro potenziale operativo, neanche dopo una Brexit “totale e severa” che li dovesse isolare completamente dal contesto europeo.
Sul piano strategico, se da una parte il Regno Unito dovesse decidere di recidere il cordone ombelicale che lo lega all’UE per avvicinarsi agli alleati d’oltre oceano, dall’altra la comunità d’intelligence europea perderebbe un soggetto vitale per la gestione della sicurezza interna ed esterna, correndo il rischio di trovarsi da sola e fortemente impreparata a fronteggiare il pericolo jihadista, attualmente infiltratosi nel vecchio continente grazie agli straordinari flussi migratori a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni. A questa ipotesi, però, occorre affiancare una quanto mai doverosa precisazione: se da una parte è pur vero che una “ritirata strategica” dal fronte europeo potrebbe favorire una migliore riorganizzazione delle difese britanniche dall’avanzata del terrorismo internazionale, dall’altra un simile comportamento non risolverebbe un problema che, ahimè, è diventato di interesse mondiale. Pertanto, se da un lato Brexit obbligherà le varie strutture d’informazione europee ad un’azione d’intelligence sempre più connessa, strategica e condivisa, dall’altro l’asse Stati Uniti-Regno Unito potrebbe assumere la funzione di polo dominante di un’alleanza mondiale contro il terrorismo internazionale: un’alleanza che comunque non potrebbe prescindere dal ruolo strategico che attualmente ricopre l’Europa, quale possibile futuro campo di battaglia per le truppe dell’intelligence di tutto il mondo.
Il 23 giugno 2016 si è svolto in tutto il Regno Unito un referendum a consultazione popolare, riguardante la permanenza o meno nell’Unione Europea dei sudditi di Sua Maestà Elisabetta II. L’autodeterminazione del popolo britannico si è espressa con un voto di maggioranza del 51,9% a favore del “Leave”, l’uscita del Regno Unito dall’UE: da qui il termine “Brexit” (risultante dall’unione tra le parole “Britan” ed “exit”). Ma a livello informativo e di sicurezza nazionale cosa cambia e cosa potrebbe cambiare da tutto questo? Quali sono le principali conseguenze che un tale avvenimento potrebbe decretare nella gestione dell’intelligence britannica ed europea?
Eliza Manningham-Buller, capo dell’MI5 (il servizio segreto britannico interno) dal 2002 al 2007, ha recentemente perorato la causa del “Remain”, sostenendo che in un periodo particolare come quello che la comunità britannica sta attualmente attraversando, dove viene considerata “molto probabile” la possibilità che attentati terroristici si verifichino all’interno dei confini del Regno Unito, la sicurezza personale dei cittadini britannici sarebbe sicuramente più tutelata all’interno della politica comunitaria europea, invece che all’esterno di essa. Questa affermazione troverebbe fondamento nel fatto che la Gran Bretagna ha da sempre avuto un ruolo di grande influenza nel Forum europeo; quindi, le possibilità di trattativa o di gestione preventiva dell’evento terroristico verrebbero meno in caso di isolamento totale da Bruxelles. Di parere diametralmente opposto è Richard Dearlove, capo dell’MI6 (il servizio segreto esterno britannico) dal 1999 al 2004, che considera l’episodio Brexit come una grande opportunità da sfruttare al fine di innalzare il livello di sicurezza dei cittadini britannici. Questo fatto sarebbe possibile tramite l’adozione di una politica immigratoria molto severa, che permetta il controllo e la gestione capillare degli attuali flussi migratori da parte del governo e degli organi di sicurezza delegati.