Il tasso di disoccupazione femminile s’impenna. Crescono anche defezioni scolastiche e matrimoni precoci. Le sanzioni che strangolano l’economia iraniana colpiscono in primis le donne. E rafforzano gli ultraconservatori, ostili alle loro battaglie per i diritti
Le donne sono le principali vittime delle sanzioni imposte all’Iran dagli Usa dopo il loro ritiro unilaterale, l’8 maggio scorso, dell’accordo sul nucleare del 2015. Non ha dubbi su questo Azar Tashakor, sociologa e antropologa iraniana sempre attenta all’altra metà del cielo del suo Paese.
Per esempio, risponde a eastwest.eu da Teheran, «151 mila ragazze si sono ritirate dalle scuole secondarie nel nuovo anno scolastico», causa «le peggiori condizioni economiche delle famiglie povere, che possono permettersi di mandare a scuola solo i ragazzi». Inoltre, in primo piano si pone la questione della disoccupazione, che in Iran colpisce soprattutto i giovani e naturalmente le donne, che pure sono spesso altamente qualificate. «I datori di lavoro sull’orlo della bancarotta licenziano in primo luogo le donne e la loro disoccupazione è aumentata del 12%», aggiunge la sociologa.
Secondo statistiche ufficiali riportate a luglio dal quotidiano iraniano Financial Tribune, il tasso di disoccupazione nel trimestre 21 marzo-21 giugno 2018 era del 12,1%, per un totale di 3,32 milioni di senza lavoro. Il dato relativo alle donne era del 19,2%, che salirebbe dunque al 31% con quest’ultimo aggiornamento. Ma i dati variano sensibilmente a seconda delle diverse zone del Paese, e sono ritenuti poco credibili da alcuni osservatori.
Alla crescita della disoccupazione si aggiunge, prosegue la sociologa, un preoccupante aumento dei matrimoni in cui le ragazze hanno meno di 15 anni: ora si calcola che vi siano stati 7.440 matrimoni sotto i 15 anni rispetto ai 1450 di cinque anni fa, riferisce, precisando che il fenomeno ha riguardato per il 55% le aree urbane e per il 45% in quelle rurali. «Per la maggiore povertà derivante dalle sanzioni, le famiglie costringono le figlie a sposarsi con uomini ricchi più vecchi di loro per ridurre le spese a loro carico». Ad oggi, la legge iraniana prevede che le donne si possano sposare ad almeno 13 anni compiuti, con il consenso del padre o del tutore legale, ma negli anni dei governi riformisti si era tentato di portare tale limite a 15. Tra i nove e i 13 anni, invece, serve anche il consenso del tribunale.
Un fenomeno, quello delle spose ancora adolescenti, che rappresenta una delle tante contraddizioni di un Paese dove il vasto accesso all’istruzione garantito alle donne dagli anni Novanta ne fa la parte più colta e preparata della società, con titoli universitari in grande misura in materie tecniche e scientifiche come l’ingegneria.
Ma tra gli effetti delle sanzioni, che strangolano le prospettive di crescita dell’economia iraniana – la World Bank stima una contrazione dell’1.4% del Pil entro il 2020-21, rispetto al +3,8% dell’anno 2017-2018 – vi è anche quello che gli uomini, osserva ancora Azar Tashakor, non sono in grado di sostenere le spese del matrimonio e non si propongono più alle ragazze. Quindi aumenta il numero delle donne single o di quelle che, loro malgrado, accettano di sposarsi, magari con l’istituto tutto iraniano del matrimonio temporaneo, con uomini più ricchi e capaci di mantenere anche più di una famiglia.
Infine, «la scarsità di medicinali è un serio problema dopo le sanzioni – osserva – Una donna iraniana su quattro soffre di tumore al seno e il costo delle terapie sta raddoppiando, rendendolo proibitivo per le famiglie povere e i ceti medi. Ho sentito di donne di mia conoscenza che hanno dovuto rinunciare alle cure».
Proprio i medicinali e ad altri generi umanitari ed essenziali, come il cibo e le parti di ricambio per l’aviazione civile, sono stati indicati nei giorni scorsi dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja come beni che gli Usa devono salvaguardare dagli effetti delle nuove sanzioni: una sentenza che ancora non esaurisce la materia del ricorso presentato dall’Iran contro le sanzioni Usa e che comunque la Corte non ha gli strumenti per far applicare, ma che rappresenta una prima vittoria simbolica per Teheran nella sua battaglia legale contro la guerra economica di Trump.
«L’attuale situazione sta colpendo tutti» – risponde Aseye Hatami, la cui società Iran Salary ha calcolato che nello scorso anno persiano la disparità salariale tra le donne, meno pagate, e gli uomini era in media del 27%. «Il principale problema è il timore del futuro – aggiunge la Ceo di Iran Salary – «La gente è scioccata dalla svalutazione della moneta e non riesce a figurarsi la portata della crisi che la aspetta». In questo nuovo contesto di crisi economica il settore privato, prosegue, ha dovuto licenziare tra il 7% e il 10% dei propri dipendenti. «I lavoratori con maggiori competenze tecniche si stanno già cercando lavoro o progetti all’estero, in modo da essere pagati in dollari». Ma molti hanno già pianificato di lasciare definitivamente l’Iran.
Se «il 60% dei laureati sono donne – ha rilevato da parte sua l’imprenditrice iraniana Maryam Khansari, General manager della Herison Costruction Company, in un recente incontro organizzato dall’associazione Corrente Rosa alla Casa Internazionale delle Donne a Roma – nell’ultimo anno persiano solo il 16% di queste ha trovato un impiego. Trump colpisce la società civile, uccide le speranze di chi non ha un lavoro né un futuro».
Vi sono infatti anche contraccolpi psicologici alle difficoltà economiche che colpiscono gli iraniani. E a soffrirne in particolare sono proprio le donne, risponde da Teheran la giornalista Mojgan Ahmadvand, e in particolare negli ultimi mesi in cui il valore del rial è precipitato. Le donne, per la loro responsabilità nei confronti di soggetti deboli e bambini – rileva – sentono più forte la frustrazione per non essere in grado di far fronte alle loro esigenze. Inoltre, il muslim ban che impedisce agli iraniani di entrare negli Usa per far visita ai parenti emigrati ha accresciuto le sofferenze delle famiglie divise. Il fatto che siano subentrati nuovi e urgenti problemi economici e politici – prosegue la giornalista – hanno poi fatto finire in ombra le questioni legate ai diritti o alle aspettative delle donne, che ora possono passare ancora di più in secondo piano. Il ritiro di Trump dall’accordo ha inoltre rafforzato quegli ultraconservatori che erano stati ostili ai negoziati con gli Usa, rendendo così più difficile, per attivisti e figure istituzionali di area moderata e riformista – fra le quali Shahindokht Molaverdi, ora consigliera per i diritti umani di Rouhani – ottenere i risultati a favore delle donne in cui si sperava dai governi dell’attuale presidente.
Speranze tuttora disattese e risultati ancora più a rischio, aggiungiamo noi, se nei prossimi mesi – per effetto delle tensioni interne innescate da Trump – o con le prossime elezioni presidenziali gli stessi ultraconservatori dovessero prendere un maggiore controllo del potere. Così del resto era accaduto durante la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, quando vi erano stati preoccupanti passi indietro sia per le attiviste impegnate sui temi di genere sia in termini di diritti. Questioni che finiscono nel mirino degli ultraconservatori anche perché ritenute un pericoloso veicolo di ingresso dei valori occidentali nella cultura della Repubblica Islamica.
Resta nel frattempo scettica una giovane iraniana che vive in Italia, e preferisce non rivelare il suo nome. «Sul fronte delle libertà, sono le donne a prendersene di più, ma solo perché sono più coraggiose. Il sistema non ha rinunciato a controllare le donne, ma ora non ci riesce perché deve gestire altri problemi, come la crisi economica e la corruzione».
@lb7080
Il tasso di disoccupazione femminile s’impenna. Crescono anche defezioni scolastiche e matrimoni precoci. Le sanzioni che strangolano l’economia iraniana colpiscono in primis le donne. E rafforzano gli ultraconservatori, ostili alle loro battaglie per i diritti