Sale la tensione tra Islamabad e Teheran, alle prese con un comune fronte di instabilità: il Belucistan. In Iran, i Beluci costituiscono circa il 2% della popolazione e risiedono prevalentemente nel Sistan-e-Belucistan, provincia caratterizzata da livelli di benessere e di sviluppo ben al di sotto della media nazionale, nonostante le ingenti risorse naturali a disposizione.

Si stima che circa i 4/5 della comunità beluci viva al di sotto della soglia di povertà. Rispetto alla stragrande maggioranza degli Iraniani, i Beluci sono musulmani sunniti e ciò ha alimentato una forte diffidenza da parte delle autorità nazionali, in particolare in seguito alla Rivoluzione del 1979. Per questo motivo, tale comunità è stata oggetto di una sistematica repressione che, con il passare del tempo, ha alimentato un movimento di insorgenza armato, che le autorità di Teheran non sono sinora riuscite a domare.
Il più conosciuto tra i gruppi armati attivi nel Sistan-e-Belucistan è senz’altro Jundallah (“Soldati di Dio”), fondato nel 2002 come movimento di resistenza. A partire dal 2005, esso ha compiuto numerosi attentati, alcuni dei quali contro obiettivi di alto profilo. Le operazioni di contrasto attuate dal governo, in particolare l’arresto del leader del gruppo, Abdelmalek Rigi, nel 2010, hanno significativamente indebolito Jundallah. Ciò non si è tradotto, tuttavia, nella cessazione delle violenze, bensì nella frammentazione del movimento di insorgenza, con la nascita di vari gruppi armati che hanno mostrato un crescente attivismo in questi ultimi anni. Tra questi, Jaish al-Adl (JAA, ”Esercito della Giustizia”), formazione guidata da Abdulrahim Mulazadeh (conosciuto con lo pseudonimo di Salah al-Din al-Farouqi), che ha rivendicato i principali attentati compiuti nel Sistan-e-Belucistan negli ultimi dodici mesi. Nell’ottobre 2013, il gruppo ha attaccato un posto di frontiera nella località di Rustak, uccidendo 14 guardie iraniane. A febbraio di quest’anno, ha catturato cinque guardie di frontiera, successivamente trasferite in territorio pakistano: quattro di loro sono state rilasciate due mesi dopo (secondo alcuni mass media, dietro rilascio di alcune decine di prigionieri), mentre l’altro agente è stato ucciso. L’8 e il 9 ottobre, altri due attentati realizzati nei pressi della località di Saravan hanno provocato la morte di almeno quattro ufficiali di polizia, innalzando il livello di tensione tra Iran e Pakistan. Varie formazioni armate di etnia beluci, tra le quali lo stesso JAA, infatti, avrebbero le proprie basi logistiche in territorio pakistano, approfittando di gravi carenze nei sistemi di controllo attuati nel Paese. Molti, inoltre, hanno sottolineato come l’aumento del livello di violenze nel Sistan-e-Belucistan abbia di poco seguito l’insediamento in Pakistan del governo di Nawaz Sharif, tra i più fedeli alleati regionali dell’Arabia Saudita. Teheran ha sempre accusato Riyadh di sostenere l’insorgenza beluci, utilizzandola come strumento di destabilizzazione politica interna.
Il 17 ottobre, si sono registrati scontri alla frontiera tra Iran e Pakistan, che hanno provocato la morte di almeno un soldato delle Unità di Frontiera pakistane. Lo stesso giorno, circa una trentina di guardie di frontiera iraniane ha oltrepassato il confine, effettuando dei raid nel Belucistan pakistano. In precedenza, Teheran aveva a più riprese minacciato un intervento diretto, nel caso in cui le autorità pakistane non si fossero dimostrate in grado di impedire il ripetersi di attacchi su territorio iraniano da parte di gruppi basati in Pakistan. Le autorità pakistane hanno respinto ogni responsabilità, chiedendo, a loro volta, che le accuse rivolte da Teheran vengano provate. Il 18 ottobre, i rispettivi ambasciatori sono stati convocati in segno di protesta, a testimonianza di una situazione di fortissima tensione.
Per entrambi i Paesi, si tratta di una situazione da gestire con la massima prudenza. Il Pakistan è già alle prese con operazioni militari nelle aree al confine con l’Afghanistan e con un significativo aumento degli scontri alla frontiera con l’India, dunque non può permettersi di impegnarsi su un ulteriore fronte. Allo stesso modo, anche l’Iran è direttamente coinvolto in numerose situazioni di conflitto nella regione, prima tra tutte quelle in Iraq e in Siria, con un conseguente ingente dispendio di risorse. È prevedibile che le due parti raggiungano, presto o tardi, un accordo che metta fine all’attuale fase di accentuata instabilità, senza tuttavia risolvere il problema alla radice. La politica estera portata avanti da Teheran (con il deciso sostegno, economico e militare, ai governi sciiti nella regione) rischia, anzi, di esacerbare il malcontento all’interno della comunità beluci iraniana, imprimendo una ulteriore accelerazione ad un fenomeno già in atto: la radicalizzazione ideologica dei gruppi armati attivi nella regione, favorita dai contatti stabiliti con varie formazioni terroristiche pakistane. In molti hanno sottolineato come, negli ultimi anni, i gruppi attivi in Iran abbiano fatto un uso crescente della retorica anti-sciita, mostrandosi sempre più esposti all’influenza della corrente salafita. Il Sistan-e-Belucistan potrebbe, dunque, divenire terreno di reclutamento per i numerosi gruppi jihadisti attivi nella regione, aumentando la vulnerabilità dell’Iran rispetto alla minaccia terroristica.
Negli ultimi decenni, Teheran si è dimostrata molto abile nel gestire la minaccia jihadista, anche grazie a presunti accordi siglati con al-Qaeda, in base ai quali, in cambio dell’impegno a non compiere attacchi terroristici, veniva offerta al gruppo la possibilità di utilizzare il territorio iraniano come territorio di transito. Non risultano, al momento, simili accordi con lo Stato Islamico, che, secondo varie fonti di stampa avrebbe già compiuto attacchi di basso profilo sul territorio iraniano in questi ultimi mesi.
Lo scenario nel grande Medio Oriente sta mutando con estrema rapidità, sovvertendo storiche alleanze e dinamiche consolidatesi nei decenni. In questo contesto, il Belucistan rischia di rappresentare una vera e propria spina nel fianco per l’Iran, oltre che un fattore di grave tensione a livello regionale. Una sorta di “cavallo di Troia”, che solamente una sensibile riduzione delle tensioni settarie nella regione e politiche interne più inclusive da parte di Teheran potranno neutralizzare.
Daniele Grassi è Senior Analyst per IFI Advisory
Sale la tensione tra Islamabad e Teheran, alle prese con un comune fronte di instabilità: il Belucistan. In Iran, i Beluci costituiscono circa il 2% della popolazione e risiedono prevalentemente nel Sistan-e-Belucistan, provincia caratterizzata da livelli di benessere e di sviluppo ben al di sotto della media nazionale, nonostante le ingenti risorse naturali a disposizione.