Viceministro della Difesa durante la presidenza Khatami, Akbari era stato arrestato e condannato a morte nel 2019 con l’accusa di spionaggio per conto dell’intelligence britannica
Sabato 14 gennaio è stata diffusa la notizia che Alireza Akbari, cittadino di nazionalità iraniana e britannica, è stato giustiziato. La condanna a morte di Akbari risale al 2019, ma era rimasta latente e silenziosa fino a pochi giorni fa, quando il regime di Teheran ha iniziato ad accelerare sulla sua esecuzione. Secondo la magistratura iraniana avrebbe collaborato con l’MI6 (i servizi segreti inglesi), fornendo informazioni sensibili collegate all’assassinio, nel novembre 2020, dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh. Il tempismo dell’esecuzione, avvenuta nel periodo più difficile per la teocrazia dalla rivoluzione del 1979, e la figura in questione, Akbari, rivestono il caso di molteplici valori politici, sia sul piano esterno che interno.
Alireza Akbari aveva 61 anni. Nel 1988 aveva guidato l’attuazione del cessate il fuoco tra Iran e Iraq, per mettere fine alla devastante guerra durata otto anni, lavorando a stretto contatto con gli osservatori delle Nazioni Unite. Successivamente, diventò Viceministro della Difesa sotto Shamkhani (attuale Segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale) durante il governo del presidente riformista Mohammad Khatami. Il suo ruolo fu cruciale anche nei negoziati che portarono all’accordo sul nucleare firmato nel 2015 da Teheran e il gruppo P5+1 (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania). Il suo profilo lo colloca nell’ala moderata iraniana. La stessa area di cui fa parte anche Shamkhani e che auspica una linea di maggior dialogo con i manifestanti, con concessioni e riforme per svecchiare un po’ la Repubblica Islamica.
Le accuse di Teheran all’ex Viceministro sono fragili e non verificabili. Si parla di un profumo e di una camicia, usati da Akbari per comprare informazioni a Shamkhani, il quale però non risulta indagato, e di una cospicua somma di denaro (1.805.000 euro, 265.000 sterline e 50.000 dollari) datagli dai servizi di sicurezza del Regno Unito utilizzando conti bancari in Austria, Spagna e Regno Unito. In un messaggio audio ottenuto dalla BBC Persian, Akbari smentisce le accuse ricevute: dichiara di essere stato torturato, di aver ricevuto droghe psichedeliche che lo hanno spinto “sull’orlo della pazzia” e costretto a confessare. Non è chiaro quando il messaggio sia stato registrato e non sono arrivati commenti da parte del governo iraniano riguardo l’uso della tortura per estorcere la confessione.
La poca chiarezza delle accuse e delle circostanze in cui avvenne l’arresto di Akbari rendono la questione passibile di diverse interpretazioni. Nelle dittature, come l’Iran, quando viene arrestata una persona di alto livello difficilmente vi è un solo motivo dietro; a maggior ragione se si tratta di un profilo che ha a che fare con un governo straniero e che rischia, dunque, di provocare una crisi diplomatica.
L’Iran sta affrontando decisamente il momento più complesso della sua storia recente. Il governo di Teheran è solo, sanzionato a livello internazionale e odiato dai propri cittadini. Le proteste per la morte di Mahsa Amini hanno messo in discussione l’intero sistema di potere degli Ayatollah, diventando più simili ad una rivoluzione. Oggi sempre più ragazze in Iran girano senza velo, la polizia morale non si vede più e sempre più uomini supportano la libertà delle proprie figlie, mogli, nonché di tutte le donne dell’Iran.
In questo contesto, dove le fondamenta della Repubblica Islamica tremano, la parte più moderata del regime si è mostrata aperta ad un dialogo con i manifestanti e ad accogliere alcune delle loro richieste, come eliminare l’obbligo del velo. Tra i moderati vi è il Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Shamkhani, l’uomo a cui era legato Alireza Akbari e che ne aveva accompagnato la carriera politica. Da ciò emerge la possibilità che, dato il contesto, l’esecuzione di Akbari possa essere un segnale di una lotto intestina al regime. Potrebbe essere un messaggio dell’ala più conservatrice ai moderati, per mettere in chiaro che non si faranno concessioni al movimento di protesta.
Saeid Dehghan, avvocato per i diritti umani che vive a Teheran, ha voluto mettere in evidenza anche un’altra possibilità, collegata maggiormente a dinamiche internazionali: secondo lui, la tempistica dell’esecuzione è stata una risposta del regime in vista dell’inserimento dell’IRGC (il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) nella lista del terrorismo del Regno Unito. Sulla questione si è espresso anche Abdolrasool Divsallar, analista e studioso di affari militari iraniani, che in passato ha lavorato con Akbari: “Akbari è un brillante analista ed è stato critico nei confronti delle strategie regionali e di difesa dell’Iran come l’eccessivo coinvolgimento in Siria ed era fautore di una linea di appeasement con gli Stati Uniti nel Golfo. La sua condanna serve a mandare un messaggio: non c’è spazio politico per ogni idea che si allontana dalla visione della leadership”.
Qualunque sia la motivazione che ha spinto la Repubblica Islamica a giustiziare Alireza Akbari, il risultato è allontanare ancora di più le speranze di un dialogo tra Occidente ed Iran. Londra ha condannato aspramente l’azione di Teheran, la quale potrebbe segnare un punto di non ritorno nelle relazioni bilaterali UK-Iran. La stessa condanna è stata fatta da tutti gli altri Paesi del blocco Occidentale. Secondo alcuni diplomatici iraniani, la linea dura dell’Iran significa che il Paese sta pagando un prezzo pesante in termini di sanzioni. La conseguenza è quella di trascinarlo sempre di più nella sfera di influenza russa, come dimostra la controversa fornitura di droni iraniani a Mosca per usarli nella guerra in Ucraina.
Sabato 14 gennaio è stata diffusa la notizia che Alireza Akbari, cittadino di nazionalità iraniana e britannica, è stato giustiziato. La condanna a morte di Akbari risale al 2019, ma era rimasta latente e silenziosa fino a pochi giorni fa, quando il regime di Teheran ha iniziato ad accelerare sulla sua esecuzione. Secondo la magistratura iraniana avrebbe collaborato con l’MI6 (i servizi segreti inglesi), fornendo informazioni sensibili collegate all’assassinio, nel novembre 2020, dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh. Il tempismo dell’esecuzione, avvenuta nel periodo più difficile per la teocrazia dalla rivoluzione del 1979, e la figura in questione, Akbari, rivestono il caso di molteplici valori politici, sia sul piano esterno che interno.
Alireza Akbari aveva 61 anni. Nel 1988 aveva guidato l’attuazione del cessate il fuoco tra Iran e Iraq, per mettere fine alla devastante guerra durata otto anni, lavorando a stretto contatto con gli osservatori delle Nazioni Unite. Successivamente, diventò Viceministro della Difesa sotto Shamkhani (attuale Segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale) durante il governo del presidente riformista Mohammad Khatami. Il suo ruolo fu cruciale anche nei negoziati che portarono all’accordo sul nucleare firmato nel 2015 da Teheran e il gruppo P5+1 (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania). Il suo profilo lo colloca nell’ala moderata iraniana. La stessa area di cui fa parte anche Shamkhani e che auspica una linea di maggior dialogo con i manifestanti, con concessioni e riforme per svecchiare un po’ la Repubblica Islamica.