Un ritratto del Ministro degli Esteri Javad Zarif, grande diplomatico e artefice dell’Iran Deal. L’uomo politico più amato dal popolo riformista iraniano per il momento ha lasciato a bocca asciutta Trump il provocatore, etichettando le sue dichiarazioni indegne di risposta.
“L’ignorante parola d’odio di Trump appartiene all’epoca medievale, non al XXI secolo, ed è indegna di una risposta”. È il 19 settembre e così, con un tweet, il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, liquida il discorso del presidente americano Donald Trump alle Nazioni Unite. Durante l’Assemblea generale Onu, infatti, l’inquilino della Casa Bianca aveva accusato il governo iraniano di “mascherare una dittatura corrotta dietro le false spoglie di una democrazia” e di essere responsabile di “attività destabilizzanti” e di “sostegno al terrorismo”, per poi scagliarsi contro il cosiddetto Iran Deal (l’accordo tra i Paesi del gruppo 5+1, l’Ue e l’Iran per la sospensione delle misure restrittive imposte da Unione europea e Nazioni Unite contro il programma nucleare di Teheran).
L’intesa, secondo Trump, non sarebbe altro che “un imbarazzo” per gli Stati Uniti. Per Zarif, divenuto uomo-simbolo di quella storica convergenza diplomatica con l’Occidente, la retorica statunitense, invece, non merita replica.
Mentre Trump gioca a impersonare il Grande Satana e gli ultraconservatori di entrambe le parti gongolano, l’interlocutore iraniano non alza i toni e mantiene lo stesso registro usato negli ultimi anni di negoziati.
Dialogo e interazione, lo stile di un negoziatore tenace
Zarif in persiano significa elegante. Classe 1960, sposato con due figli – si legge nel curriculum ufficiale sul sito del ministero degli Esteri iraniano – è un diplomatico navigato. Studia negli Stati Uniti: prima una laurea in Relazioni Internazionali, conseguita nel 1981 all’università di San Francisco, poi due master e infine un dottorato all’Università di Denver. Dal 1982 al 1988 siede tra le file della delegazione iraniana alle Nazioni Unite a New York. Ancora giovanissimo diventa consulente del ministero degli Esteri di Teheran per un anno, ma successivamente torna negli States, con una pausa in Iran e poi ancora una volta a New York. Ed è proprio lì che per cinque anni, dal 2002 al 2007, lavora come ambasciatore Onu. Nel frattempo, quando può, dà lezioni alla Scuola di relazioni internazionali a Teheran. Nel 2013, dopo anni dietro le quinte, Zarif viene nominato ministro del governo Rouhani.
Appena insediatosi, sbarca su Twitter e il suo primo cinguettìo da ministro è in inglese: questa scelta segna già un cambio di passo rispetto allo stile dei suoi predecessori. “Spero di essere in grado di interagire e stare in contatto”, scrive.
Il giorno dopo, una volta interpellato pubblicamente dalla figlia di Nancy Pelosi, non si nega e anzi, usa Twitter per rispondere delle sparate dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad contro Israele. Puntualizza che l’Iran “non ha mai negato l’Olocausto” e che “l’uomo” al quale sono state attribuite quelle frasi è ormai “andato via”.

Le cronache lo descrivono “cordiale, ma tenace”. Le parole chiave dei suoi discorsi sono “interazione”, “dialogo”, “legame”, come scrive lui stesso sulle colonne del New York Times. Quando il democratico americano Joe Biden lo incontrò, nel 2007 a Washington, lo definì un osso duro, “a tough advocate”, ma “pragmatico, non dogmatico”. Un uomo che “può giocare un ruolo importante ed essere d’aiuto nella risoluzione dei problemi (degli Usa, ndr) con l’Iran pacificamente”.
“La rivoluzione della diplomazia” con Zarif. Cronaca di un accordo sofferto
Otto anni dopo, quelle parole si sono tradotte in un accordo storico tra la Repubblica islamica, l’Unione europea e i 5+1, dunque Stati Uniti compresi. È il 2 aprile del 2015, le grandi potenze raggiungono finalmente un punto di incontro, l’intesa appare sempre più vicina: quel giorno vengono stabiliti i parametri chiave per arrivare all’Iran Deal. Ad annunciarlo, a Losanna, è Federica Mogherini, capo della diplomazia europea. Al suo fianco c’è Javad Zarif, sorridente.

All’indomani di quel passaggio cruciale, gran parte della stampa iraniana celebra Zarif. Il ministro degli Esteri diventa un’icona della riconciliazione. Conquista le prime pagine dei giornali. “La diplomazia ride”, titola il riformista Etemad (a destra nella foto sotto). “Il passaggio elegante dell’Iran” campeggia, invece, accanto all’immagine fiera di Zarif su Shahrvand.

Zarif imprime uno scarto nei toni e nell’esecuzione di una chiara volontà politica del governo Rouhani. Disgelo, riavvicinamento e trattative per gli iraniani si concretizzano nel ritorno dell’Iran sulla piazza internazionale, dopo anni di sanzioni internazionali che hanno affossato l’economia del Paese, precludendo a Teheran le esportazioni delle risorse energetiche, le relazioni commerciali, il settore finanziario e miliardi di dollari di contratti congelati [qui tutte le misure nel dettaglio].
Per questi motivi il ministro viene trasformato in un emblema di riapertura. Il 14 luglio del 2015 è lui a firmare il Joint Comprehensive Plan of Action, un accordo che definisce “non perfetto, ma il migliore che potevamo raggiungere”. La stampa racconta questo momento come la fine di un “assedio, dopo dodici anni di ingiuste sanzioni” (Ghanoon), “la rivoluzione della diplomazia” (Etemaad), “un giorno che segna un nuovo inizio” (Hamshahri). Ektebar segnala anche i ringraziamenti al team “instancabile dei negoziatori” da parte della Guida Suprema, Ali Khamenei, da sempre più restìo al dialogo con l’Occidente rispetto alle frange pragmatiche e riformiste, vicine a Rouhani. Zarif viene addirittura rappresentato come il leggendario arciere persiano, Arash Kamangir. Finisce nella lista delle persone più influenti al mondo, stilata da Time.

Chi sono i detrattori dell’Iran Deal
Due anni dopo, incassata la riconferma come Ministro del secondo mandato di Rouhani, Zarif deve fare i conti con due minacce: una esterna e una interna. Da un lato c’è Trump, che ha buttato in soffitta le scelte di Obama, ha rispolverato la tattica neocon in Medioriente e oggi scarica la sua retorica dissacrante contro l’Iran Deal.
Dall’altro ci sono gli ultraconservatori in patria che fanno leva sui mancati risultati della revoca parziale delle sanzioni per screditare le scelte del governo. Al secondo anniversario dell’accordo, ad un collage di foto celebrative dei momenti chiave dei negoziati, il quotidiano conservatore Kayhan sovrappone il titolo: “Il JPCOA compie due anni, lo chiamano una vittoria ma è quasi nulla”.

Con il collaudato aplomb che lo ha finora contraddistinto, e forte del supporto trasversale all’intesa con l’Occidente nonostante la reticenza diffusa contro Trump, Zarif risponde alle frecciate qualche settimana dopo, nel giorno della riconferma dell’incarico da Ministro, approvata in Parlamento. “Continueremo nel nostro impegno di dialogo positivo con il mondo”, afferma, sottolineando la “necessità di impedire agli Stati Uniti di violare questo accordo internazionale a spese dell’Iran”, salvo poi lanciare un avvertimento a Trump (e all’Arabia Saudita): “Purtroppo siamo in una regione sopraffatta da interferenze e inimicizie che sono il risultato di politiche sbagliate adottate da alcuni Stati della regione e la loro pericolosa ingerenza”, ma astenendosi da valutazioni specifiche sul coinvolgimento di Teheran nella polveriera mediorientale.
Visti gli ultimi sviluppi, l’accordo sul nucleare è in bilico. Per Mr. Deal, dunque, la strada da fare è ancora lunga.
@transit_star
Un ritratto del Ministro degli Esteri Javad Zarif, grande diplomatico e artefice dell’Iran Deal. L’uomo politico più amato dal popolo riformista iraniano per il momento ha lasciato a bocca asciutta Trump il provocatore, etichettando le sue dichiarazioni indegne di risposta.