In territorio siriano, dopo l’uccisione di un contractor Usa e il ferimento di cinque soldati nel nord-est del Paese, il Pentagono risponde con molteplici strike su basi delle Guardie Rivoluzionarie. Siria e Arabia Saudita verso la riapertura dei rapporti
La presenza fissa e reale di Iran e Stati Uniti in Siria dimostra quanto ancora sia lontano il controllo del Paese da parte del Governo di Damasco, che fatica a controllare molte zone del territorio sovrano della Repubblica, sconvolta dal caos della guerra iniziata nel 2011, tra gruppi ribelli e presenza dello Stato Islamico. I numerosi interventi militari di Israele nella nazione sono un esempio della difficoltà di gestione, a cui si aggiungono i fatti dei giorni scorsi, che hanno visto gli Stati Uniti colpire basi logistiche delle Guardie Rivoluzionarie iraniane.
“Gli strike aerei sono stati autorizzati in risposta agli attacchi contro la coalizione di forze in Siria da parte dei gruppi affiliati all’IRGC”, ha affermato il Segretario alla Difesa Usa Lloyd J. Austin, riferendosi all’Islamic Revolutionary Guard Corps. Austin ha dato mandato alle forze armate statunitensi di colpire i gruppi filo-iraniani, i quali sarebbero responsabili dell’intervento con drone avvenuto nel nord-est della Siria, che ha causato la morte di un contractor degli Stati Uniti e ferito 5 truppe dell’esercito. “Sono interventi mirati alla protezione del nostro personale. Prenderemo tutte le misure necessarie per difendere la nostra gente: nessun gruppo rimarrà impunito”, ha aggiunto il Segretario alla Difesa. L’azione della difesa di Washington avrebbe causato la morte di 8 combattenti tra Deir Ezzor, nel deserto di Maialine e nei pressi di Albu Kamal.
Una situazione che dimostra quanto la Siria sia assoggettata agli interventi delle forze esterne e che, al contempo, offre un lampante quadro del crescente interesse attorno alla Repubblica guidata da Bashar al-Assad, che torna a piccoli passi protagonista dello scenario internazionale. Gli occhi di tutto il mondo hanno interessato il Paese nelle scorse settimane in seguito al devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria, quest’ultima con poche soluzioni per offrire aiuto alla popolazione, vista la condizione nella quale versa la nazione dopo 12 anni di guerra, e a causa delle sanzioni, che impediscono l’arrivo di supporto tecnico e operativo.
Intanto, sul fronte diplomatico si intravedono luci che aiuteranno il Governo Assad a ritrovare la strada della normalità. Dopo anni di tensioni, lo stesso Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha aperto lo scorso agosto a un riavvicinamento con la Siria, che diventa sempre più realtà in seguito all’incontro di gennaio tra i rispettivi Ministri degli Esteri e la Russia, che ha mediato tra le due realtà. Ad Ankara si aggiunge Riad: è notizia di ieri che l’Arabia Saudita sta dialogando con la Siria per la riapertura dei servizi consolari. Ovvero, un timido approccio verso il riavvicinamento diplomatico che, a un certo punto, significherà anche il ritorno di Damasco nella Lega Araba.
Come già affermato dal Ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan, l’isolamento della Siria non funziona, ricordando l’importanza di supportare quantomeno l’aspetto umanitario nella nazione di Assad. Parole importanti da leggere nel contesto del rapprochement anche con la Repubblica Islamica dell’Iran: una svolta non indifferente, mediata dalla Cina, che conferma quanto fluide siano le relazioni internazionali e il ruolo degli attori protagonisti del contesto globale. Anche nell’area mediorientale.
In territorio siriano, dopo l’uccisione di un contractor Usa e il ferimento di cinque soldati nel nord-est del Paese, il Pentagono risponde con molteplici strike su basi delle Guardie Rivoluzionarie. Siria e Arabia Saudita verso la riapertura dei rapporti