Sono decine di migliaia i cristiani che in questi giorni si sono spostati da Mosul e da zone limitrofe finite sotto il controllo dell’Isis. In molti sono scappati verso aree ritenute più sicure come Bashiqa e Qara Qosh (cittadine a stragrande maggioranza cristiana nel Governatorato di Ninive, al confine con il Kurdistan) e a Erbil. Ma sono solo delle tappe.

Per molti infatti, è solo uno stop temporaneo prima di andarsene definitivamente all’estero. Il vescovo di Erbil, Monsignor Bashar Matti Warda, incontrato nella cattedrale di Saint Joseph ad Ankawa, il quartiere cristiano di Erbil, lo conferma: “Le persone si stanno preparando a lasciare il Paese. Sono stufe, impaurite e terrorizzate. Sanno che potrebbe non essere una saggia decisione. Non è facile emigrare, ma dicono che è comunque meglio che restare. Non è certo una decisione facile, ma non ci sono alternative”.
Paradossalmente, dal vicino ‘califfato’, retto da Abu Baqr al-Baghdadi, non è arrivata nessuna notizia certa di assalti o uccisioni nei confronti dei cristiani, a parte il non chiaro sequestro di due suore a Mosul e la distruzione di una statua della Vergine, oggetto di pellegrinaggio anche da parte musulmana. Sembra che, almeno per il momento, la posizione dei cristiani (dei pochi che ne sono rimasti) sia stata ‘congelata’ all’interno del territorio controllato dall’Isis.
Chi non ha soldi o contatti all’estero, spera che in un’ottica di parziale dissoluzione dell’Iraq e di un ulteriore allentamento del potere centrale sulle zone periferiche, si arrivi di fatto ad essere annessi al Kurdistan.
Molti dei cristiani vivono infatti una zona ‘grigia’, oggetto di disputa territoriale (che doveva essere regolata dalla legge 140 della Costituzione) nel governatorato di Ninive. Attualmente le truppe peshermega presidiano questi territori. Erbil in questo momento è in una posizione di forza rispetto al governo iracheno di al-Maliki e in cambio del suo supporto militare contro la rivolta sunnita potrebbe allargare i propri confini senza bisogno di ricorrere a referendum, se non ad atto compiuto, come è successo per la presa di Kirkuk ed altre zone.
Per le minoranze presenti nel nord dell’Iraq che, ricordiamo, non sono solo cristiane ma di diverse confessioni/etnie come quelle yazide, shabak, turkmene sciite, il Kurdistan è diventato da tempo un luogo molto più sicuro e tranquillo rispetto al resto dell’Iraq, anche se non indenne da attentati e derive islamiste, come quella avvenuta in passato ad opera di di Ansar al-Islam.
Sono decine di migliaia i cristiani che in questi giorni si sono spostati da Mosul e da zone limitrofe finite sotto il controllo dell’Isis. In molti sono scappati verso aree ritenute più sicure come Bashiqa e Qara Qosh (cittadine a stragrande maggioranza cristiana nel Governatorato di Ninive, al confine con il Kurdistan) e a Erbil. Ma sono solo delle tappe.