La Chiesa qui era l’istituzione totale e gli abusi hanno provocato un rigetto radicale, spiega Colm O’Gorman, la cui denuncia ha aperto la crisi. Il viaggio papale non ha aiutato: “Zero azioni concrete, solo un cambio di linguaggio”. E il dissenso da Francesco ha avuto un’esposizione globale
Doveva essere una missione di riconciliazione con il gregge irlandese a 40 anni dal trionfo di Giovanni Paolo II, che nel 1979 attrasse, al grande raduno in Phoenix Park, a Dublino, 1.25 milioni di persone.
È finita in una catastrofe che rischia di estendersi oltre i confini dell’Eire.
Premessa: fra le due visite pastorali ci sono 40 anni di enormi cambiamenti culturali, sociali ed economici, con un’isola che oggi, più che con San Patrizio, ama identificarsi con il quartier generale europeo di Google.
Lo sviluppo economico e culturale tende a provocare secolarizzazione. Nel caso irlandese il rapporto con la Chiesa cattolica, fino agli anni Settanta istituzione totale, è stato ridefinito dall’esplosione di una serie di scandali che hanno fatto implodere l’autorevolezza delle gerarchie ecclesiastiche.
Pochi giorni prima della visita di Papa Francesco l’Arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, che di quegli scandali si occupa dal 2010, ha dichiarato che il numero delle vittime di abusi da parte della Chiesa irlandese è “immenso”. Di cosa parliamo?
«Solo fra il 1930 e il 1970 sono state 173mila le vittime dirette, cioè i bambini in istituzioni cattoliche e soggetti ad ogni sorta di abuso, sessuale, fisico e psicologico, incluso lavoro minorile e tortura, su base quotidiana» ricorda Colm O’Gorman, oggi direttore esecutivo di Amnesty International ma, soprattutto, sopravvissuto alla violenza sessuale subita per due anni da un prete della diocesi di Fern nei primi anni Ottanta. «A questi vanno aggiunte le circa 10mila donne ragazze Magdalene Laundries, quelle a cui le suore hanno tolto la libertà e i figli; e poi le fosse comuni come quella di Tuam. Deve pensare che questi abusi hanno ripercussioni permanenti, L’impatto complessivo è incalcolabile».
O’Gorman ha tradotto la sofferenza in attivismo: ha denunciato, contribuito all’apertura di una delle primissime inchieste, fatto causa al Vaticano, al nunzio apostolico a Dublino, a Papa Giovanni Paolo II, protetto, come tutti i pontefici, dall’immunità diplomatica garantita ai capi di Stati di Paesi sovrani, ottenuto giustizia e un risarcimento di circa 300mila sterline. Ha poi fondato One in Four, specializzata nel supporto ai sopravvissuti di abusi e violenze sessuali, in particolare minori.
Ma la sua denuncia ha provocato una slavina che non si è più fermata e che ha cambiato radicalmente il rapporto degli irlandesi con la chiesa, se non con la fede. I dati sono stati raccolti ed elaborati in un report speciale intitolato What happened to Catholic Ireland? pubblicato sul sito della BBC subito prima dell’arrivo di Papa Francesco. Racconta di chiese vuote, drammatico calo di vocazioni e numero sempre decrescente di credenti.
Scenari visti altrove, con una specificità irlandese: la Chiesa è stata per centinaia di anni una istituzione così pervasiva nella società, nel sistema educativo, nella sanità, nella cultura del Paese, che le rivelazioni sulla natura endemica del suo sistema di abusi hanno provocato un rigetto radicale, improvviso e probabilmente ineluttabile.
A questo si è aggiunto un profondo disgusto per il fatto che la stragrande maggioranza delle compensazioni alle vittime siano a carico dei contribuenti, con la Chiesa d’Irlanda che ne ha pagato solo una frazione.
Qualcuno ha detto che un cinico è un idealista deluso.
Gli irlandesi non sono cinici: al contrario, hanno dimostrato di sapere investire risorse ideali nel cambiamento del proprio Paese. Ma sono credenti traditi.
Se si capisce questo non ci si sorprende del successo, per molti osservatori inatteso, del referendum che nel 2015 ha approvato a stragrande maggioranza il matrimonio omosessuale, né di quello che poche settimane fa, con il 66% dei consensi, ha legalizzato l’aborto. Referendum sostenuto fortemente dal giovane premier Leo Varadkar, dichiaratamente omosessuale.
Viene da pensare che l’Irlanda non sia un Paese di “cattolici adulti”, ma già un Paese post cattolico.
La visita del Papa era, quindi, difficile già nelle premesse. L’occasione ufficiale era la celebrazione del World Meeting of Families, che si tiene ogni tre anni. Da quello che abbiamo potuto ricostruire, inizialmente il tema degli abusi doveva essere tenuto sottotono, tanto che l’Arcivescovo di Dublino ha dovuto insistere con il Papa perché accettasse di incontrare una rappresentanza di sopravvissuti.
Ed è stata preceduta da una drammatica accelerazione del tema, con l’esplosione dello scandalo in Pennsylvania – 300 preti accusati, 16 anni di abusi, un migliaio di presunte vittime.
Di conseguenza, con una virulenza non gestibile dal Vaticano, la visita è stata completamente dominata da una domanda: Papa Francesco ha davvero intenzione di cambiare registro sulla gestione degli scandali sessuali e avviare davvero la tolleranza zero promessa dal suo predecessore?
Lunedì 20 agosto, Francesco aveva reso nota una lettera aperta ai fedeli cattolici nel mondo in cui per la prima volta aveva chiamato quegli abusi “crimini”, chiesto perdono, parlato apertamente di coperture e promesso tolleranza zero. La reazione degli attivisti irlandesi avrebbe dovuto essere osservata con più attenzione in Vaticano. La loro sintesi era stata: troppo tardi, troppo poco.
Ancora Colm O’Gorman: «Ora parlano tutti di grande svolta… sí, li ha chiamati crimini invece che peccati. Dovremmo accontentarci? Io vedo solo un cambio di linguaggio, nuove promesse e zero azioni concrete. Nella su lettera il Papa chiede perdono, ma non dice cosa dovremmo perdonare. Parla di coperture, ma non indica i responsabili. Sono i vescovi? Se è cosí, è a lui che devono dare conto di quelle coperture. Ma lui non chiede conto, perché non si è trattato di iniziative individuali, ma di persone che hanno eseguito direttive dei vertici, basate su leggi e norme del diritto canonico».
I due giorni in Eire sono stati una catastrofe. Non solo per i numeri: 500k biglietti in vendita, 130 mila presenza, molte da oltremare. Ma anche perché, con queste premesse, il dissenso al Papa. sia da parte di gruppi di attivisti che della gente comune, ha ottenuto una estrema esposizione mediatica da parte dei più autorevoli organi d’informazione del mondo. Le richieste di perdono, la condivisione del dolore, le promesse di agire cadono nel vuoto.
Per O’Gorman: «Niente di nuovo. Cinismo inaugurato da Benedetto XVI a beneficio dei media, che fanno i titoli sul Papa che ascolta, piange, condivide il dolore. Se davvero fosse dalla parte delle vittime non verrebbe a Dublino, sarebbe in Pennsylvania a sfondare porte, a costringere i suoi vescovi a rendere pubblici i loro dossier. Nulla cambierà finché il Papa non dirà la verità, con un breve comunicato in cui si assume pubblicamente la responsabilità del male inflitto, oggi e in passato, a centinaia di migliaia di vittime in tutto il mondo».
@permorgana
La Chiesa qui era l’istituzione totale e gli abusi hanno provocato un rigetto radicale, spiega Colm O’Gorman, la cui denuncia ha aperto la crisi. Il viaggio papale non ha aiutato: “Zero azioni concrete, solo un cambio di linguaggio”. E il dissenso da Francesco ha avuto un’esposizione globale
Doveva essere una missione di riconciliazione con il gregge irlandese a 40 anni dal trionfo di Giovanni Paolo II, che nel 1979 attrasse, al grande raduno in Phoenix Park, a Dublino, 1.25 milioni di persone.