Continuano i combattimenti a Kobane tra milizie curde, gli alleati del Free Syrian Army e i miliziani dell’Isis. Il 31 ottobre scorso sono entrati i tanto aspettati rinforzi peshmerga, mandati dall’Iraq dopo aver attraversato il territorio turco per circa 650 chilometri.

Un piccolo contingente di 150 uomini a bordo di una decina di veicoli, tra i quali anche alcuni dotati di antiaerea e dispositivi di lanciarazzi multiplo (MLR, Mobile Rocket Launcher).
In precedenza erano entrati anche altri 50 ribelli siriani che si sono uniti ai circa 250 uomini della brigata Tajammu’ alwaiyya fjr al-hurriyya del Free Syrian Army. Incerto il numero dei morti fino ad oggi, soprattutto da parte di Daesh (Stato Islamico).
Un interessante articolo di Gary Brecher (pseudonimo di John Dolan), “The War Nerd: Crunching numbers on Kobane”, tenta di fare il punto della situazione attraverso una lettura non ortodossa di dati e fatti. Brecher ipotizza così sui tremila uomini tra morti e feriti la perdita per L’Isis (circa il 10% di quanto stimato dalle fonti di intelligence come la Cia, che parlano infatti di circa 31mila militanti).
Ma mentre l’attenzione mondiale è concentrata su Kobane, ci si dimentica cosa sta avvenendo nel resto della Siria, dove Isis continua ad avanzare e il regime di Assad continua a bombardare e uccidere indiscriminatamente forze ribelli e civili.
I miliziani dello stato Islamico, infatti, hanno catturato altri due impianti di estrazione di gas nella provincia di Homs, Sha’ar e Jahar. I giacimenti di gas di Homs sono le ultime e più importanti risorse energetiche del Paese. Ora l’Isis controlla almeno un terzo del territorio siriano e il suo gas e petrolio, fattore questo che può in parte condizionare l’andamento della situazione militare sul terreno.
L’esercito governativo siriano durante la ritirata ha abbandonato anche decine di mezzi, carri armati, mitragliatrici pesanti e munizionamento. In questa settimana è tornata l’attenzione anche su Aleppo, citata dal Ministro degli Esteri Laurent Fabius in un suo editoriale pubblicato in simultanea sul Washington Post, Le Figaro e su Al- Hayat nel mondo arabo. “Dopo Kobane dobbiamo salvare Aleppo”, è il titolo dell’editoriale.
Fabius esorta nel testo la comunità internazionale che si oppone ai jihadisti dello Stato islamico a “concentrare i suoi sforzi sulla seconda città siriana minacciata al tempo stesso dalle forze del regime e dalla jihad. “Aleppo – scrive il Ministro francese – deve far fronte oggi alla minaccia di finire nella tenaglia fra i barili di esplosivo del regime (siriano) e gli sgozzatori di Daesh”.
Bashar al Assad e Daesh sono le due facce di una stessa barbarie. Ma la coalizione internazionale pare essere impegnata a Kobane in quella che è più una guerra di immagine contro Isis piuttosto che salvare 300mila civili aleppini che, è bene dirlo, due anni fa erano oltre due milioni.
Per Aleppo nessuno si è mai mosso. “Perché Kobane? E perché non altre città come Idlib, Hama or Homs o perché no, Deir al-Zor? Ha detto una settimana fa il Presidente turco Recep Tayyp Erdogan a Parigi durante i colloqui con il Presidente francese Francois Hollande. Ora ci si aspetta una nuova ondata di profughi da quella che una volta era la città di Aleppo. Non per Daesh ma per i massicci bombardamenti compiuti dal regime di Assad.
Continuano i combattimenti a Kobane tra milizie curde, gli alleati del Free Syrian Army e i miliziani dell’Isis. Il 31 ottobre scorso sono entrati i tanto aspettati rinforzi peshmerga, mandati dall’Iraq dopo aver attraversato il territorio turco per circa 650 chilometri.