Chi fugge dal dominio di ISIS rischia la vita, ma una volta in salvo la sua odissea non è finita. In due anni lo Stato Islamico ha creato una vera e propria amministrazione statale. Come e da chi saranno riconosciuti i documenti rilasciati dagli impiegati di Abu Bakr al-Baghdadi.
La piccola comunità degli iracheni di Mosul giunti in Libano negli ultimi due anni segue con ansia le notizie che arrivano dalla loro terra natale. Alla grande preoccupazione per la vita di parenti e amici rimasti nella città sotto attacco se ne uniscono altre, minori e quotidiane, ma non meno importanti per il futuro dei sopravvissuti.
“Quando siamo fuggiti (un anno fa ndr), abbiamo portato con noi il certificato di matrimonio e quello di nascita del nostro primo figlio – dice Abou Hussein, profugo a Beirut – in Libano, però, nessuno ha riconosciuto i certificati emessi da ISIS, ho paura che sarà così anche con le autorità di Baghdad.”
Le persone in fuga riescono a portare poche cose con loro, tra queste i documenti di identità o di matrimonio rilasciati da ISIS. Certificati che non sanno bene se e da chi saranno riconosciuti validi.
Dall’esterno, il Califfato, proclamato nel giugno 2014, appare come una terra senza legge gestita da militanti maniaci animati solo dalla furia omicida.
In questi due anni i civili prigionieri dello Stato Islamico hanno vissuto in una specie di stato parallelo. In quei territori i bambini hanno continuato a nascere e la gente a sposarsi e a morire, il tutto certificato da documenti “ufficiali” con il timbro di ISIS e il simbolo della bandiera nera.
“Da quando, parlando dalla Grande Moschea di Mosul, Abu Bakr al-Baghdadi si è proclamato Califfo– dice Abou Hussein – abbiamo dovuto adattare anche il nostro vocabolario al nuovo regime. Sono scomparsi i ministeri, diventati ‘diwan’ un termine preso in prestito dai primi califfati musulmani per i dipartimenti governativi.”
Mosul, con quasi due milioni di abitanti nel 2014, è stata la più grande città del Califfato e, insieme alla città siriana di Raqqa, è diventata la capitale de facto dell’esperimento politico dello Stato Islamico.
Nel Califfato sono state rimodellate, ispirandosi a principi che si fanno risalire all’alba dell’Islam, le leggi e l’organizzazione della giustizia, le scuole e la sanità, le tasse e lo stato sociale.
“Tutte cose che per noi – prosegue Hussein – erano solo imposizioni ed estorsioni con il pretesto della religione. Avevano creato uno Stato nello Stato, con leggi, contratti e regolamenti da rispettare a scanso di pene feroci.”
Dopo diverse multe, Hussein ha dovuto chiudere il suo bar. “Il locale era piccolo, ma sempre pieno. La musica, le sigarette, le partite a freccette e a tawleh (gioco da tavolo molto diffuso in Medio Oriente ndr), sono vietate da ISIS. Senza tutto questo nessuno veniva più al bar e allora ho chiuso.” Racconta che la prima volta aveva pagato una multa di 100 dollari, la seconda il doppio e poi alla punizione in denaro si erano aggiunte la prigione e le frustate in pubblico.
Per evitare di essere arrestati e puniti per adulterio Hussein e la giovane moglie si erano sposati davanti a uno sceicco dello Stato Islamico e avevano registrato presso le autorità del Califfato il loro bambino. “Ora mi trovo a vivere con una concubina e non sono riconosciuto come genitore. Ho paura per il nostro futuro.”