Dopo il referendum per l’indipendenza, il Kurdistan iracheno subisce l’accerchiamento dei potenti vicini. Dalla Siria arriva però il sostegno dei curdi, pronti a schierare le milizie dell’Ypg per difendere i cugini. E a usare il precedente di Erbil per strappare l’autonomia ad Assad.
“Bye bye Iraq” scandivano i manifestanti a sostegno del referendum indetto dal presidente Masoud Barzani lo scorso 25 settembre. Una data che i curdi iracheni non dimenticheranno facilmente, non tanto perché sono stati chiamati a decidere per la prima volta del loro futuro, ma per la paura di aver gettato al vento un’opportunità bramata al momento sbagliato. “Se costruisci uno stato al cui interno i principi democratici sono facilmente minacciati, finisci col dare vita ad una dittatura” scriveva la poetessa Choman Hardi su Middle East Eye all’indomani della votazione. “Le nostre lotte potrebbero essere solo all’inizio”. E tutto sembra darle ragione.
Ma la guerra ha insegnato ai cugini siriani che tutto va conquistato. Sembra lontano decenni quel gennaio del 2014, quando in tutte le città del Rojava la gente è scesa nelle strade e nelle piazze a celebrare l’autoproclamata autonomia da Damasco. Bandiere gialle, verdi, rosse, e il faccione di Öcalan a benedire la lotta, che si sapeva sarebbe stata lunga, ma che ancora non immaginava al- Baghdadi, l’assedio di Kobane, le battaglie di Al-Hasakah, Sinjar, Sarrin, Tell Abyad, gli interventi militari turchi e l’operazione per la liberazione di Raqqa “Ira dell’Eufrate”.
Damasco si è sempre opposta ai piani di autonomia durante questi sei anni di conflitto. Soltanto poche settimane fa però il ministro degli esteri siriano ha dichiarato che il governo è aperto ai colloqui con i curdi, dopo che la lotta contro i miliziani dello stato islamico sarà conclusa. Damasco “non è sembrata seria” ha dichiarato Ilham Ahmed, co-presidente del Consiglio Democratico Siriano-Msd alla Reuters. Tuttavia il referendum iracheno sembra aver spaventato Assad che, per la prima volta, ha aperto uno spiraglio di dialogo sull’autonomia adottando un atteggiamento più conciliante, almeno a parole. Tuttavia, come sottolinea Fawza Yousef, co-presidente del Consiglio Costituente della Federazione Democratica della Siria del Nord “sono le vittorie politiche e militari conquistate in questi anni a svolgere il ruolo principale per spingere il governo siriano alla negoziazione”.
La paventata chiusura dei confini iracheni con la Turchia e l’Iran seguita al referendum potrebbe andare a tutto vantaggio delle relazioni commerciali con i curdi siriani. “Se chiudono le strade – continua Yousef – il Governo Regionale del Kurdistan iracheno dovrà aprire un percorso, fissare i rapporti e forse negoziare con la Siria settentrionale. Certamente sarebbe buono”. E questo, dopo anni di aperture intermittenti del valico di frontiera di Fishkabour, sarebbe di grande aiuto al sostentamento delle comunità locali, alle organizzazioni non governative, e ai profughi e feriti che potrebbero trovare oltre il Tigri un nuovo inizio.
(Fine prima parte. Continua…)
@linda_dorigo
Fotografa, giornalista e documentarista, Linda Dorigo dal 2014 lavora ad un progetto editoriale sull’identità del popolo curdo in Iraq, Iran, Siria e Turchia. Questo è il primo di una serie di articoli per eastwest.eu dedicati alle questione curda dopo il referendum per l’indipendenza.
Dopo il referendum per l’indipendenza, il Kurdistan iracheno subisce l’accerchiamento dei potenti vicini. Dalla Siria arriva però il sostegno dei curdi, pronti a schierare le milizie dell’Ypg per difendere i cugini. E a usare il precedente di Erbil per strappare l’autonomia ad Assad.