Il popolo di Mosè, circondato dai nemici – da cui dipende per la fornitura d’energia – fa una scoperta che rimescola le carte del gioco mediorientale.
Stando ai numeri, potrebbe essere cominciata una rivoluzione energetica nel Mediterraneo orientale. Dallo scorso marzo, Israele ha iniziato a estrarre 0,018 Mmc (miliardi di metri cubi) di gas naturale al giorno dal giacimento Tamar, una novantina di chilometri al largo delle coste settentrionali del Paese. Fino ad ora già vale un +1% del Pil di quest’anno e in prospettiva, con 280 Mmc di riserve stimate, potrebbe coprire il fabbisogno nazionale di energia per i prossimi 25 anni.
Il bacino, individuato quattro anni fa, è stato sviluppato da un consorzio di compagnie che vede in prima linea l’americana Noble Energy e le israeliane Delek Drilling Partnership e Avner Oil & Gas Exploration. Si tratta dello stesso gruppo, più o meno, che sta esplorando un giacimento adiacente, Leviathan, con l’obiettivo di metterlo in funzione entro il 2017. Con riserve stimate di circa 500 Mmc, Leviathan è una delle maggiori scoperte dell’ultimo decennio.
Per un paese come Israele, circondato da vicini più o meno ostili e quasi completamente dipendente dalle importazioni di carbone e pe trolio, la comparsa del gas dal mare assomiglia alla biblica manna dal cielo.
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Il popolo di Mosè, circondato dai nemici – da cui dipende per la fornitura d’energia – fa una scoperta che rimescola le carte del gioco mediorientale.