La città è un modello di convivenza, dice il sindaco. Ieri si è aperto il festival che riscopre piatti dimenticati, preparati da chef musulmani, cristiani ed ebrei. L’ideatrice di “A-Sham” era diventata una scienziata per cambiare il mondo, “ma ho capito che con il cibo sarebbe stato più facile”
«Sembra che intorno alla città ci siano mura altissime e impenetrabili. Anche se qualcuno prova a entrare da fuori con cattive intenzioni, siamo noi stessi a respingerlo». Le parole sono del sindaco di Haifa Yona Yahav, alla vigilia di “A-Sham”, il festival di cibo arabo la cui terza edizione è iniziata ieri nella città costiera del nord di Israele. Sarebbe solo un festival gastronomico ma niente in Israele, specialmente in questo periodo e soprattutto se c’è di mezzo il mondo arabo, resta estraneo alla politica e all’attualità.
«Haifa», continua il sindaco laburista «è l’unica città al mondo dove la convivenza tra ebrei, cristiani, drusi e musulmani è una forma di rispetto praticata quotidianamente». Nessuna preoccupazione insomma che Haifa (e il suo festival) possano diventare teatro di tensioni e scontri legati alla decisione Usa su Gerusalemme capitale di Israele.
“A-Sham” è l’unico festival gastronomico che mette in scena piatti dimenticati della cucina del levante, preparati a più mani da chef arabi musulmani, cristiani e drusi con colleghi ebrei. L’ideatrice dell’Arab Food Festival è una donna musulmana, determinata a creare un terreno comune tra israeliani, arabi ed ebrei attraverso il cibo. Nof Atamna-Ismaeel, originaria della città araba nel nord di Israele Baqa al-Gharbiya, madre di tre figli, è stata una microbiologa al Technion di Haifa (istituto di ricerca scientifica israeliano simbolo di eccellenza a livello internazionale) fino al 2014, quando ha partecipato e vinto al reality show Master Chef Israele. «Sono diventata una scienziata per cambiare il mondo», racconta Nof Atamna-Ismaeel «ma in laboratorio i tempi sono lunghissimi. Ho capito che in cucina avrei potuto farlo più velocemente.»
Da domani saranno oltre 70 – il doppio rispetto all’edizione precedente – i cuochi e gli esperti di cibo che lavoreranno insieme nelle cucine dei ristoranti di Haifa per presentare al pubblico sia ricette tradizionali sia interpretazioni contemporanee dei piatti espressione della cultura gastronomica dell’area del levante.
«C’era una gran confusione sulla cucina araba e nessuno guardava alle radici, perché sembrava di fare qualcosa di obsoleto», spiega l’ideatrice di A-Sham. «Oggi, dopo tre anni e anche un po’ grazie al festival, gli stessi cuochi arabi hanno acquisito più consapevolezza e i piatti che presentano da noi si trovano sempre più spesso nei loro menu tutto l’anno». Ecco allora Osama Dalal (27 anni), talentuoso chef originario di Akko, proporre – nel ristorante Hamarat Talpiot – una octopus makluba, versione di pesce della makluba tradizionale, solitamente a base di pollo, tipica degli inverni della sua città fortificata sul mare. Ahmad Salameh (28 anni), un tirocinio nelle cucine italiane tristellate di “Da Vittorio”, vincitore nel 2014 del premio della critica alla Coppa San Pellegrino per gli chef emergenti, alla direzione del ristorante del King David Hotel di Gerusalemme, presenta al Cheese di Haifa una misachan, piatto re della cucina palestinese, servito durante il periodo della raccolta delle olive. Su una base di pane pita bagnato con il primo olio d’oliva della stagione, si adagiano cipolle fritte, pollo arrosto, sommacco, mandorle saltate croccanti e pinoli.
Ci sono due piatti della tradizione siriana, tipici di Aleppo, nel menu del festival. I cherry kebab sono polpette di carne scottate sulla griglia, cucinate in una salsa di amarene, con zucchero e sciroppo di dattero e baharat (un mix di spezie) e una generosa manciata di prezzemolo e cannella. I kubbeh ala al-sikh sono polpette di bulgure di carne, infilzate su spiedi e arrostite su una griglia a carbone, servite con un contorno di insalata e concentrato di melograno. «Non è stato facile decidere di inserire piatti della cucina di Aleppo, quello che succede accanto a noi mi spezza il cuore, ma ho pensato che fosse un omaggio dovuto. Ho voluto mostrare, tramandare, proteggere e preservare quanto di buono e prezioso la cucina siriana può offrire. Piuttosto che ignorare, ho scelto di enfatizzare.»
Anche la tradizione di Gaza è rappresentata al festival. Nel piccolo ristorante Hasirimshel Kati si servirà un piatto simbolo di matrimoni e feste, la simakiya gazawi. Bellissimo da vedere, a base di carne, foglie di barbabietole e ceci cucinati in un infuso di sommacco, è un piatto in cui domina il colore rosso.
Per Nof Atamna-Ismaeel “A-Sham” è anche un’occasione di empowerment femminile, per portare in prima linea le donne che in cucina, specialmente nel mondo arabo, sono solitamente relegate alla dimensione domestica. Le cuoche Mayssir Abu Shehadeh e Aliya Dasukidi Giaffa, la critica gastronomica Hila Alpert, l’insegnate di cucina Sabina Waldman (nata a Riga) e la cuoca Ayelet Latovich, tutte e tre di Tel Aviv, sono le cinque donne convolte nel festival.
@Fabiana_Mag
La città è un modello di convivenza, dice il sindaco. Ieri si è aperto il festival che riscopre piatti dimenticati, preparati da chef musulmani, cristiani ed ebrei. L’ideatrice di “A-Sham” era diventata una scienziata per cambiare il mondo, “ma ho capito che con il cibo sarebbe stato più facile”