L’attacco israeliano alla base T4 segna il passaggio allo scontro diretto con l’Iran. Con gli Stati Uniti in uscita dal teatro siriano, Israele vuole impedire l’insediamento di basi permanenti iraniane nel Paese. E aspetta la rappresaglia di Teheran, preparandosi a colpire di nuovo
Gerusalemme – Fuochi d’artificio, concerti, giochi di luce creati grazie a sofisticatissime tecnologie. I festeggiamenti di mercoledì sera per i 70 anni di Israele sono stati tutto questo e anche un mix di battibecchi tra politici in puro stile israeliano, come ha titolato il New York Times. Con le dispute su quante parole avrebbe pronunciato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu (500) rispetto allo speaker della Knesset Yuli-Yoel Edelstein (700), o l’invito di Carmi Gillon, ex capo dello Shin Bet – l’agenzia segreta addetta alla sicurezza interna -, a spegnere la tv durante il discorso del Primo Ministro.
Ma al di là del balagan – ossia il caos, una delle parole più usate dagli israeliani – e dei botta e risposta mediatici, oltre alle proteste organizzate da Palestinesi con cittadinanza israeliana per ricordare la Nakba – quella che gli arabi costretti a lasciare i propri villaggi dopo la fondazione dello stato ebraico definiscono la “catastrofe”– le celebrazioni di quest’anno sono state segnate dalle minacce provenienti dall’Iran.
Gli arci-nemici Iran e Israele negli ultimi mesi sono entrati in una fase nuova. Israele è deciso ad evitare che l’Iran stabilisca basi permanenti sul territorio siriano, questa è la “linea rossa” che politica e gerarchie militari sono decisi a rispettare. Ma se fino a pochi mesi fa Israele agiva soprattutto colpendo i convogli di armi inviate dall’Iran agli Hezbollah libanesi attraverso la Siria, ora si è passati a uno scontro diretto.
A Febbraio infatti, l’invio di un drone iraniano oltre la frontiera tra Giordania e Israele, il suo abbattimento e gli scambi tra l’Aviazione siriana, appoggiata da russi e iraniani, e quella israeliana – incluso l’abbattimento di un F16 israeliano – hanno segnato un cambio di scenario decisivo.
Il 9 Aprile, poi, l’aviazione israeliana ha colpito la base T-4, la stessa da cui a febbraio è partito il drone che, secondo gli israeliani, sarebbe stato armato e diretto verso un obiettivo sensibile. La T-4 ospita anche personale iraniano e, durante l’attacco della scorsa settimana, sono rimasti uccisi sette membri delle Forze Quds della Guardia Rivoluzionaria, tra cui il Colonnello Mehdi Dehghan a capo dell’unità incaricata dei droni.
Israele non ha mai confermato di aver portato a termine l’attacco ma, nei giorni scorsi, un alto ufficiale dell’Esercito israeliano ha ammesso con l’editorialista del New York Times Thomas Friedman che si tratta davvero di un’operazione voluta dallo Stato ebraico. «Questa è la prima volta che vediamo l’Iran agire direttamene contro Israele, non attraverso un proxy» ha affermato l’ufficiale «E questa è stata la prima volta in cui abbiamo attaccato obiettivi iraniani, sia strutture che persone”.
L’Iran continua a minacciare ritorsioni per l’attacco del 9 Aprile, e l’ipotesi più accreditata fra gli alti ranghi dell’Idf e dell’intelligence è che la vendetta molto probabilmente arriverà sotto forma di attacco aereo da parte delle forze iraniane dislocate in Siria. A inizio settimana Kiumars Heidari, un generale delle Forze di terra dell’esercito iraniano ha dichiarato che Israele non può più minacciare la Repubblica Islamica e, parlando in occasione della Giornata delle Forze armate iraniane, ha avvisato che “è stata fissata la data” per la distruzione di Israele.
Il giorno dopo, l’Idf ha distribuito ai mezzi di comunicazione israeliani una mappa che indicava cinque basi siriane controllate da iraniani, ossia possibili obiettivi per una risposta in caso Teheran dovesse ordinare un attacco su Israele. Durante il suo discorso per i 70 anni dello Stato ebraico, Netanyhau ha affermato che l’Iran «è nemico di tutti noi, di Israele, del mondo arabo, della civilizzazione. Oggi, nel 2018, nel XXI secolo, parla apertamente di liquidare Israele!». E venerdì, durante una riunione di gabinetto, ha ribadito: «Sentiamo le minacce da parte dell’Iran. L’Idf e le forze di sicurezza sono pronte per qualsiasi sviluppo. Combatteremo chiunque cerchi di danneggiarci».
Nel frattempo, prima della preghiera del venerdì, da Teheran era arrivata anche la minaccia del generale Hossein Salami, un generale delle Guardie Rivoluzionarie, secondo il quale «il dito è sul grilletto e i missili sono pronti, in qualunque momento il nemico farà qualcosa contro di noi li lanceremo».
La deterrenza sembra essere ancora un’arma potente e, secondo alcuni analisti israeliani, è saggio continuare ad usarla.
Il bombardamento del 9 Aprile è arrivato pochi giorni prima dell’azione congiunta con cui Usa, Francia e Gran Bretagna hanno voluto lanciare un messaggio punitivo al regime di Assad per il presunto utilizzo di armi chimiche contro la popolazione di Douma – fatto ancora da confermare -. Una pioggia di missili mirata, studiata a tavolino per non irritare gli alleati di Assad, Iran e Russia, le cui politiche rispetto alla Siria non sono state scalfite. Con gli Usa in uscita dallo scenario siriano, Israele presumibilmente rimarrà solo nell’azione di contrasto alla presenza iraniana vicino alla sua frontiera.
John Bolton e Mike Pompeo, rispettivamente il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale e il nuovo Segretario di Stato scelti da Trump, starebbero cercando di mettere assieme una coalizione militare composta da stati come Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Bahrein o Qatar, per sostituire le truppe americane in Siria ma è molto difficile, se non impossibile, che la cosa vada in porto.
Per bilanciare la situazione e non ritrovarsi isolato, quindi, sembra fondamentale che Israele non interrompa la linea rossa di comunicazione con la Russia e cerchi di mantenere la sua libertà di movimento nei cieli siriani. Soprattutto se l’Iran dovesse attaccare in risposta alle perdite subite il 9 Aprile.
Secondo Udi Denkel e Carmit Valensi, due ricercatori del Institute for National Security Studies israeliano, la strategia migliore quindi sarebbe quella di rimanere in allerta senza trasmettere un senso di urgenza, perché «una guerra in ampia scala sul fronte a Nord non è inevitabile».
E il modo in cui Israele deciderà di comportarsi avrà un impatto considerevole sulla possibilità di un’escalation.
@federicasasso
L’attacco israeliano alla base T4 segna il passaggio allo scontro diretto con l’Iran. Con gli Stati Uniti in uscita dal teatro siriano, Israele vuole impedire l’insediamento di basi permanenti iraniane nel Paese. E aspetta la rappresaglia di Teheran, preparandosi a colpire di nuovo