Che cos’è la detenzione amministrativa, contro la quale il portavoce della Jihad islamica ha manifestato con lo sciopero della fame, morendo in un carcere israeliano dove era detenuto senza processo, sulla base di prove e accuse non rivelate
La morte di Khader Adnan, considerato uno dei leader della Jihad Islamica Palestinese, avvenuta dopo 86 giorni di sciopero della fame in un carcere israeliano, ha acceso ancor di più le luci sull’istituto della detenzione amministrativa. Adnan, 44 anni, padre di nove figli, era uno dei più noti prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane e un leader carismatico riconosciuto in Cisgiordania. Originario di una cittadina vicino Jenin, si era avvicinato nella metà degli anni ‘90 alla Jihad Islamica Palestinese mentre studiava matematica alla Birzeit University di Ramallah. In quella occasione era diventato portavoce del gruppo terroristico.
L’uomo è stato arrestato dodici volte, due anche dall’Autorità Nazionale Palestinese, per lo più in detenzione amministrativa, l’istituto giuridico israeliano che permette l’arresto di persone se sono ritenute sospette di pericolosità per la sicurezza nazionale. Durante questa detenzione, non ci sono udienze probatorie in tribunale e il detenuto può essere trattenuto in carcere senza formali accuse per un massimo di sei mesi, rinnovabili. L’ultimo arresto, da parte di Israele, risale allo scorso 5 febbraio, quando fu prelevato dallo Shin Bet e dall’esercito israeliano, nella sua casa di Arrabeh, vicino Jenin, dove l’uomo gestiva un forno e un negozio di generi alimentari. Subito dopo l’arresto, Adnan ha cominciato lo sciopero della fame, per protestare contro la detenzione amministrativa. Pochi giorni fa era stato visitato dai medici della Ong Physicians for Human Rights Israel, che ne avevano chiesto il rilascio per le sue pessime condizioni di salute. L’Israeli Prison Service, che sovrintende alle carceri israeliane, ha riferito che Adnan è infatti stato trovato senza conoscenza nella sua cella, dopo aver rifiutato non solo il cibo, ma anche il ricovero in ospedale nei giorni scorsi. Per la sua liberazione o per le sue cure si era mossa anche la Croce rossa Internazionale, che ora chiede alle autorità israeliane di restituire alla famiglia il suo cadavere. Non era la prima volta che Khader Adnan sceglieva lo sciopero della fame per protestare contro la detenzione amministrativa, ispirando altri prigionieri nella sua condizione. La prima volta risale ai primi del 2000; nel febbraio del 2012 terminò uno sciopero durato 66 giorni.
Secondo gli ultimi dati disponibili, nelle carceri israeliane ci sono 4900 prigionieri politici palestinesi. HaMoked, un gruppo israeliano per i diritti che raccoglie regolarmente dati dalle autorità carcerarie, ha affermato che ad aprile c’erano 1.016 persone in detenzione amministrativa. Quasi tutti sono palestinesi arrestati in base alla legge militare, poiché la detenzione amministrativa è usata molto raramente contro gli ebrei. Quattro ebrei israeliani sono attualmente detenuti senza accusa.
Nella detenzione amministrativa, una persona è trattenuta senza processo senza aver commesso un reato, ma solo sulla base del fatto che probabilmente intende violare la legge in futuro. Poiché questa misura dovrebbe essere preventiva, non ha limiti di tempo. La persona è detenuta senza procedimento giudiziario, per ordine del comandante militare regionale, sulla base di prove classificate che non gli vengono rivelate. Ciò lascia i detenuti impotenti di fronte ad accuse sconosciute senza alcun modo per confutarle, senza sapere quando saranno rilasciati e senza essere accusati, processati o condannati.
In Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est), la detenzione amministrativa è effettuata ai sensi dell’Ordine riguardante le disposizioni di sicurezza. L’ordinanza autorizza il comandante militare della Cisgiordania, o un altro comandante a cui è stato delegato il potere, a porre persone in detenzione amministrativa per un massimo di sei mesi alla volta, se il comandante ha “ragionevoli motivi per ritenere che ragioni di carattere regionale, sicurezza o pubblica sicurezza esigano che una determinata persona sia trattenuta in stato di detenzione”. Se, prima della scadenza dell’ordinanza, il comandante militare ha “ragionevole motivo di ritenere che le medesime ragioni richiedano ancora il trattenimento del detenuto in stato di detenzione”, può prorogare l’originaria ordinanza per un ulteriore periodo di sei mesi di volta in volta.
L’Ordinanza sulle disposizioni di sicurezza non pone quindi limiti al tempo complessivo in cui una persona può essere trattenuta in detenzione amministrativa. In pratica, ciò consente a Israele di incarcerare palestinesi che non sono stati condannati per nulla anche per anni e anni. Le persone detenute in detenzione amministrativa devono essere portate davanti a un giudice militare entro otto giorni dall’ordine di detenzione originale o dalla sua proroga. Il giudice può confermare l’ordine, respingerlo o abbreviare il periodo di detenzione in esso previsto. Qualunque decisione prenda il giudice militare, sia il detenuto che il comandante militare possono appellarsi alla Corte d’appello militare e, successivamente, all’Alta Corte di giustizia.
Le udienze sui provvedimenti di custodia cautelare si svolgono a porte chiuse e ai giudici è consentito disapplicare il diritto ordinario della prova. In particolare, i giudici possono “accettare le prove in assenza del detenuto o del suo avvocato e senza rivelarle loro”, se sono convinti che la divulgazione delle prove possa “nuocere alla sicurezza regionale o pubblica”.
In sostanza quindi, l’accusato e i suoi difensori, non sanno neanche contro quali prove o indizi devono difendersi. Diverse le Ngo israeliane, palestinesi e straniere, che hanno denunciato più volte il ricorso e l’abuso a questo tipo di detenzione da parte di Israele, soprattutto nei confronti dei palestinesi. Basta che i servizi interni, lo Shin Bet, o organi di sicurezza simili suggeriscano l’arresto di un potenziale terrorista o fiancheggiatore, che può scattare la detenzione senza accuse. Una violazione, secondo molti. Del diritto di difesa oltre che di quelli civili, dal momento che Israele continua a fare largo uso dell’istituto.