Il fallimento dell’autonomia sanitaria esploso durante la pandemia riflette i limiti della Costituzione, che 20 anni fa ha inserito la sanità tra le materie concorrenti tra Regioni e Stato
Il fallimento dell’autonomia sanitaria esploso durante la pandemia riflette i limiti della Costituzione, che 20 anni fa ha inserito la sanità tra le materie concorrenti tra Regioni e Stato
Quando, quasi quotidianamente, leggiamo dell’ultima ordinanza di questo o quel Presidente di Regione che vuole aprire (o chiudere) in maniera diversa dalle regole nazionali le scuole (o i ristoranti), oppure vuole vaccinare (o non vaccinare) sulla base di priorità differenti per età (o professione), magari stiamo solo cercando di capire quali nuovi precetti ci toccherà osservare nella estenuante battaglia contro il virus. Invece stiamo contemplando le macerie del regionalismo italiano.
A vederla da qui, dal fallimento dell’autonomia sanitaria in cui siamo sprofondati, è facile dimenticarsi che quando la pandemia ha cominciato a fare le prime vittime stavamo discutendo della richiesta di alcune regioni di essere lasciate “libere” dallo stato nazionale. Per inciso, una delle capofila della “autonomia rafforzata”, la Lombardia, più di altre si è fatta notare per le pessime prove nella lotta al virus e nella campagna vaccinale. Ma anche per chi ricorda la lista di concessioni che il Governo Conte uno si preparava a fare alle regioni avanguardiste, o le non troppo diverse trattative avviate dal Conte due, il cambiamento di orizzonte provocato dall’emergenza ha rimosso il dibattito Before Covid. Dunque lo sforzo di memoria dev’essere maggiore.
Pochi ricorderanno che, prima di lanciarsi nel referendum consultivo con il quale ha chiesto ai suoi residenti se gradissero “ulteriori forme di autonomia” – come per esempio trattenere almeno l’80% degli introiti del fisco – la regione Veneto aveva tentato nel 2014 di portare nelle urne una ben più secca domanda: “Vuoi che il Veneto diventi una repubblica indipendente e sovrana? (SI) (NO)”. Molto semplice. Eravamo a quel punto. La stessa legge regionale che ha lanciato il referendum, impegnava la giunta a stabilire immediate relazioni Veneto-Nazioni Unite, casomai l’opprimente potere nazionale osasse calpestare la legittima aspettativa autonomista. Cosa che in effetti è accaduta, nelle prevedibili forme di una sentenza della Corte costituzionale (scritta dall’attuale Ministra della Giustizia Marta Cartabia) che ha fermato, tra ortisiani tormenti, il ritorno al Settecento del presidente Luca Zaia.
Il progetto di “autonomia rafforzata” ha un’origine in comune con quelle pulsioni. Poi la pandemia si è incaricata, all’inverso, di far esplodere i limiti del Titolo V della Costituzione. Quello che da vent’anni inserisce la tutela della salute tra le materie di legislazione concorrente Regioni-Stato. Sin dai primi provvedimenti di emergenza, decreti legge o Dpcm che fossero, alla fine dell’inverno del 2020, il Conte due si era preoccupato di richiamare nero su bianco la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale che prevede quelle “ordinanze di carattere contingibile e urgente” dei presidenti di Regione che hanno aperto la strada a un’infinità di provvedimenti in contrasto con le disposizioni nazionali. Anche l’ormai famoso decreto legge 19/2020 (quello che nel marzo dello scorso anno si è preoccupato di dare una cornice legislativa alla sequenza dei Dpcm), ha lasciato aperta la porta ai presidenti di Regione per un lungo elenco di provvedimenti “nelle more” di un intervento nazionale.
Nella sostanza, Conte e la maggioranza M5S-Pd hanno scelto una gestione dell’emergenza contrattata con i Presidenti di Regione. Da qui le continue e sfiancanti conferenze unificate. Per comprensibili ragioni politiche, visto che 15 regioni su 20 erano (e sono) espressione del centrodestra. Il piglio diverso con il quale il Governo Draghi sembra volersi porre nei confronti delle Regioni – per ora si tratta solo di questo – è figlio anche del fatto che nella nuova maggioranza di governo il centrodestra è ben rappresentato. Se questa circostanza consentirà di spostare le mediazioni politiche al livello più corretto, quello del governo centrale, lo vedremo. Intanto però il governo paga anche un prezzo alla Lega e a Forza Italia, avendo inserito tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio proprio la legge quadro sull’autonomia differenziata sempre annunciata, di cui si sono lette diverse bozze ma che non è stata ancora formalizzata in un progetto presentato al parlamento. E questo perché l’esperienza della pandemia ha fermato la corsa.
C’è voluta infine una sentenza della Corte costituzionale, che ha accolto il ricorso del governo contro una legge regionale della Valle d’Aosta, per stabilire che “ragioni logiche prima ancora che giuridiche” richiamano la responsabilità dello stato nella gestione delle pandemie. Una sentenza dal denso contenuto politico, tanto che la frase citata che compare nelle motivazioni è ripresa testualmente dalle “dichiarazioni programmatiche” dell’attuale Presidente della Corte, il giudice Coraggio. Le motivazioni della sentenza, pubblicate a metà marzo, vanno lette come un avviso alle Regioni in vista del momento decisivo della campagna vaccinale. Malgrado ciò, non sono mancati gli annunci da parte di alcuni presidenti di Regione di priorità diverse rispetto a quelle nazionali.
Secondo il costituzionalista Massimo Villone, una possibile fonte di nuovi problemi potrebbe essere proprio questa sentenza, la 37/2021, che non ha sufficientemente richiamato la struttura unitaria del paese. “Si tratta di una sentenza centrata in specie sulla profilassi internazionale – spiega Villone – per cui non mi pare agevolmente estensibile ad altre emergenze che non abbiano questo profilo, casi nei quali anche di fronte a una Babele di decisioni regionali questa recente pronuncia non fornirebbe al potere centrale un appiglio solido e indiscutibile”. E invece questo appiglio, a volerlo utilizzare, è già nella Costituzione. “L’articolo 120 prevede esplicitamente un potere sostitutivo al quale il governo non è mai voluto ricorrere, mentre avrebbe potuto e dovuto farlo per arginare il fai da te regionale. Mi viene da dire che la Corte ha messo una toppa alla debolezza che l’esecutivo centrale ha ampiamente dimostrato in questo anno e passa di emergenza”.
In pratica, secondo Villone la sentenza della Corte, pur “condivisibile per il richiamo alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale”, rappresenta “un’occasione in parte perduta”. Perché la Corte costituzionale avrebbe meglio potuto “valorizzare il principio dell’unità della Repubblica, ricordare l’uguaglianza dei diritti e soprattutto richiamare il potere sostitutivo dello stato affinché tutto questo sia effettivamente garantito”. Né vanno dimenticati i principi fondamentali che per l’articolo 117 della Costituzione la legge statale può imporre nelle materie di potestà concorrente, inclusa la sanità, “ci siano o non ci siano esigenze di profilassi internazionale”. Principi che sarebbe stato possibile far valere in misura ben più incisiva. Per Villone, l’approccio ristretto scelto dalla Corte costituzionale potrebbe non offrire spunti risolutivi nel caso di una Babele non collegata alla profilassi internazionale. Come quella che emerge nelle diseguaglianze nei diritti fondamentali. Nella scuola, conclude il costituzionalista, “proprio la pandemia ha evidenziato gravissime disparità tra territori. Classi pollaio, digital divide, trasporto scolastico, refezione, tempo pieno: differenze inaccettabili per gli studenti di alcune regioni rispetto ad altre, da risolvere con una piena attuazione dei diritti che la Costituzione garantisce egualmente a tutti. È questo il paese nuovo e diverso che deve uscire dall’emergenza sanitaria”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Il fallimento dell’autonomia sanitaria esploso durante la pandemia riflette i limiti della Costituzione, che 20 anni fa ha inserito la sanità tra le materie concorrenti tra Regioni e Stato
Quando, quasi quotidianamente, leggiamo dell’ultima ordinanza di questo o quel Presidente di Regione che vuole aprire (o chiudere) in maniera diversa dalle regole nazionali le scuole (o i ristoranti), oppure vuole vaccinare (o non vaccinare) sulla base di priorità differenti per età (o professione), magari stiamo solo cercando di capire quali nuovi precetti ci toccherà osservare nella estenuante battaglia contro il virus. Invece stiamo contemplando le macerie del regionalismo italiano.
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