Quando alle 11.30 del 7 Gennaio 2015 un commando armato faceva irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, nell’XI arrondissement di Parigi, una storia iniziata più di 40 anni prima aveva bruscamente fine. Certo lo spirito dissacrante del settimanale Charlie Hebdo è lungi dall’essere estinto.

Ne è una riprova il sussulto democratico e civile della Francia (100.000 persone) che è immediatamente scesa in piazza al grido “Je suis Charlie” brandendo, tra le altre, le vignette incriminate, a ricordare che la parola libera non può essere zittita e che la libertà di espressione è un valore inalienabile, conquistato a fatica, in cui la Francia crede fermamente.
Paradossalmente i terroristi che hanno giustiziato giornalisti e poliziotti non hanno fatto altro che dare maggiore forza ed efficacia a quelle caricature moltiplicandone l’effetto dirompente. “Nous n’avons pas peur” scandiva la place de la République a Parigi.
Ma c’è anche un’altra considerazione, più grave e meno ottimistica. La redazione che ha costituito il nocciolo duro del giornale per anni è stata spazzata via con una violenza inaudita. Forse, a memoria d’uomo, questo è il più grave attacco ad una redazione di un giornale mai registrato in Europa. Non s’era infatti mai visto un massacro di un’intera redazione. Cose del genere ricordano altri luoghi, altri tempi, più bui, non certo l’Europa del 2015.
Per forza di cose dunque, malgrado l’atavica resistenza dell’intelligenza di fronte al conservatorismo bigotto e reazionario, Charlie Hebdo non potrà essere mai più lo stesso. Lo ha ricordato al telefono oggi il responsabile dell’ufficio europeo di Reporters Sans Frontières, organizzazione che di solito si occupa di omicidi di giornalisti in luoghi come Siria, Iran o Somalia. “La stampa e Charlie Hebdo non saranno mai più gli stessi dopo questo attentato”. Parole che ci ricordano altre parole pesanti pronunciate 14 anni fa, un 11 Settembre. Un monito, un oscuro presagio che peserà in futuro sulla libertà di stampa in Francia ed in Europa?
L’avventura di Charlie Hebdo ha segnato un’epoca sin dai suoi esordi, negli anni ’60, quando inaugurava il suo stile d’ironia “stupida e cattiva”. Dai primi pioneri del giornale – che all’epoca si chiamava Hara-Kiri, aveva cadenza mensile e una tiratura di 2.000 esemplari – si aggiungeranno quelli che saranno le grandi firme del giornale per più di un trentennio: Jean-Maurice Cabut, detto Cabu, Georges Wolinski e Jean-Marc Reiser.
Il giornale dall’humour caustico, si becca una prima censura già nel 1961 per le sue vignette giudicate eccessive. La pubblicazione verrà sospesa per ben sette mesi. Ma il colpo di mannaia della censura non scoraggia Hara-Kiri che decide di perlustrare altri domini tabù, come quelli dei corpi nudi. Un’altra interdizione e sospensione di pubblicazione giunge per questo motivo nel 1966. Nel 1969 viene lanciato Hara-Kiri Hebdo, inserto settimanale, dal tono decisamente più politico. L’humour dissacrante non si ferma neppure davanti alla morte del grande De Gaulle: “Danza tragica a Colombey, un morto”. Qualche giorno prima c’era stato un incendio in una discoteca che aveva fatto 146 morti ma il giornale ironizzava sulla Francia che piangeva De Gaulle. Incriminato per lesa maestà. Il giornale, per evitare la sospensione, cambia di nome e diventa Charlie Hebdo in riferimento al personaggio di Charlie Brown e al mensile Charlie, fondato da Cavanna nel 1969 che pubblicava fumetti.
Negli anni ’70 e fino agli anni ’80 il giornale, grazie al suo stile irriverente che attacca senza peli sulla lingua estremismi e chiusure di sorta, diventa un baluardo contro l’intransigenza ed un simbolo della libertà d’espressione. Riceve il sostegno di intellettuali come Jean-Paul Sartre e l’allora direttore di Le Monde Jacques Fauvet. Viaggia con le vele spiegate fino al 1981, anno in cui sostiene la candidatura presidenziale del comico Coluche e subisce un crack finanziario che lo costringerà a chiudere per oltre dieci anni. Risorgerà soltanto nel 1992 e grazie all’aiuto finanziario del cantante Renaud raggiungendo una tiratura di 140.000 esemplari.
Tutto fila liscio fino al 2006, anno in cui Charlie Hebdo decide di riprodurre le famose caricature di Maometto pubblicate inzialmente sul quotidiano danese Jyllands-Posten, caricature che avevano provocato violente manifestazioni in più paesi musulmani. Il numero va a ruba ma scatena reazioni di estrema violenza. Da allora infatti il giornale satirico entra nella linea di mira dell’Islam radicale che non gli perdona i suoi toni irriverenti e blasfemi. Il giornale vince il processo intentatogli dall’Unione delle Organizzazioni Islamiche, dalla Lega Islamica mondiale e dalla Grande Moschea di Parigi e fedele al suo stile si lancia in questa nuova battaglia di civiltà denunciando le derive dell’integralismo islamico. Il terreno questa volta è minato e Charlie Hebdo subisce minacce ed attentati, come quello del 2011, quando i suoi uffici vengono dati alle fiamme. Nessuna vittima ma danni enormi. Il giorno dopo il giornale fa dire ad un Maometto divertito: “100 colpi di frusta se non siete morti dal ridere”. Charlie Hebdo non si ferma fino all’ultima vignetta pubblicata il 7 Gennaio su twitter in cui il califfo Al Baghdadi è ritratto in una sorta di cartolina di auguri-beffa di inizio anno. Oggi, dopo quanto accaduto, fa un certo effetto riguardare quella vignetta disegnata dal direttore della redazione, Charb, in cui si vede un jihadista talebano con sù una scritta: “ancora nessun attentato in Francia” alla quale il jihadista risponde: “abbiamo tempo fino a Gennaio per presentare gli auguri”. Malgrado il tono canzonatorio, sembra un oscuro presagio della tragedia che di li a poco si sarebbe abbattuta sul giornale.

C’è però da fare un’ulteriore considerazione. Se le vignette satiriche di Charlie Hebdo hanno provocato una tale violenza e veemenza di reazione presso i radicali musulmani, la morte violenta di questi pioneri del libero pensiero non ha fatto altro che risvegliare da un lungo torpore un paese intero e tutti coloro che credono nella libera espressione del proprio pensiero. La libertà di espressione, e di ridere beffardamente delle storture dell’animo umano, non si tocca. In fondo questa, se non è un’altra vittoria è quantomeno un’altra, irriverente, beffa di Charlie Hebdo ai loro detrattori e nemici giurati.
@marco_cesario
Quando alle 11.30 del 7 Gennaio 2015 un commando armato faceva irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, nell’XI arrondissement di Parigi, una storia iniziata più di 40 anni prima aveva bruscamente fine. Certo lo spirito dissacrante del settimanale Charlie Hebdo è lungi dall’essere estinto.