Sebbene siano passati ormai più di due mesi dall’inizio dell’insurrezione a seguito della morte di Burhan Wani, la fine della violenza non sembra profilarsi all’orizzonte. Nessuno sembra avere la capacità – secondo molti neanche l’intenzione – di trovare una soluzione per uscire da questo caos.
Di seguito, la storia di uno degli 86 kashmiri che durante quest’estate hanno raggiunto il martirio: Yawar Mushtaq, 18 anni, ucciso dalle forze armate il 10 settembre nel distretto di Anatnag – nel sud del Kashmir che sempre di più emerge come il vero epicentro delle proteste di quest’anno.
Secondo quanto dichiarato al Greater Kashmir dagli abitanti di Batengoo, ecco come si è svolta la vicenda: “Il venerdì sera, dopo la fine del coprifuoco, scontri e sassaiole erano avvenute sull’autostrada Srinagar – Jammu. Nel pieno della notte, poi, un alto numero di paramilitari ha fatto irruzione nel nostro villaggio, vandalizzando le nostre proprietà e danneggiando i veicoli”.
Per evitare ulteriori incursioni, gli abitanti hanno costruito della barricate bloccando l’ingresso del paese. Questo tipo di strategia è usato in tutta la valle anche per prevenire gli arresti dei giovani.
La testimonianza continua così: “la mattina dopo, la polizia e paramilitari hanno iniziato a smantellare le barricate provando ad entrare con i loro veicoli dal lato dell’autostrada. Una volta dentro, le forze dell’ordine inferocite hanno rotto i vetri delle finestre delle abitazioni e sparato al trasformatore elettrico danneggiandolo completamente”.
Gli abitanti che erano in strada hanno cominciato a correre per scappare dai veicoli che li inseguivano.
“Yawar, che stava seduto sulla riva del canale Nadi, è stato colto di sorpresa. I militari sono scesi dai veicoli, lo hanno visto e da distanza ravvicinata hanno aperto il fuoco con i pellet. Quando siamo arrivati, Yawar giaceva in un lago di sangue”.
Portato immediatamente all’ospedale di Anatnag, il giovane è deceduto poche ore dopo a causa delle numerose ferite sull’addome e sul torace.
Avvolto in un sudario verde, il corpo di Yawar non è riuscito a raggiungere il campo dove doveva svolgersi i funerale. Il corteo funerario è stato infatti interrotto dai lacrimogeni, dalle granate stordenti e dai pellet sparati dagli uomini della Central Reserve Police Force – unità paramilitare indiana dispiegata in Kashmir.
Almeno 6 persone sarebbero rimaste ferite e tre arrestate.
“Questa è un’aggressione ingiustificabile. Non rispettano neanche i morti” ha dichiarato un giovane del posto mentre riportava indietro, insieme ad altri, la bara di Yawar a casa della famiglia.
Tutto il villaggio ha ascoltato i lamenti di una madre costretta a seppellire il proprio figlio: “o figlio mio caro, torna a casa, tua madre ti sta aspettando”, diceva mentre stringeva a sè il viso di Yawar. I familiari hanno cercato invano di allontanarla, ma la donna sembrava esser caduta in trance: con lo sguardo perso nel vuoto, continuava a ripetere la stessa frase come una struggente cantilena.
Ecco quindi che gli uomini della famiglia hanno dovuto ricorrere all’aiuto della madre e della sorella per trasportare il corpo del figlio.
Negli ultimi giorni questa foto è circolata molto sul web e sui social network, accompagnata spesso da messaggi di accusa all’India per la sua ennesima ingiustizia. La massicia presenza delle forze militari sullo sfondo non fa altro che amplificare la miserabilità del momento.
I funerali infine si sono tenuti più tardi, al tramonto, tra centinaia di persone. L’ultimo saluto a Yawar è stato accompagnato da slogan contro l’India e pro indipendenza.
Sebbene siano passati ormai più di due mesi dall’inizio dell’insurrezione a seguito della morte di Burhan Wani, la fine della violenza non sembra profilarsi all’orizzonte. Nessuno sembra avere la capacità – secondo molti neanche l’intenzione – di trovare una soluzione per uscire da questo caos.
Di seguito, la storia di uno degli 86 kashmiri che durante quest’estate hanno raggiunto il martirio: Yawar Mushtaq, 18 anni, ucciso dalle forze armate il 10 settembre nel distretto di Anatnag – nel sud del Kashmir che sempre di più emerge come il vero epicentro delle proteste di quest’anno.