L’esperienza del governo “grillino” dell’Aam Aadmi Party (Aap) è durata precisamente 49 giorni. Arvind Kejriwal si è dimesso ieri in aperta polemica con le istituzioni che hanno intralciato l’introduzione del Jan Lokpal Bill, la versione di Aap della legge anti corruzione Lokpal Bill, a livello locale.

Ci sono da fare molti ragionamenti sul fenomeno Aap in India e in questo spazio certamente non mancheranno. Ma la valutazione pratica e politica della breve esperienza di un partito “di lotta” al governo nela capitale indiana per ora rimane assolutamente negativa. Kejriwal, da outsider, è riuscito nell’impresa di scombinare le carte di un gioco politico stantìo, un’alternanza di fatto tra due colossi stanchi della Cosa Pubblica indiana: nel testa a testa tra Indian National Congress (Inc) e Bharatiya Janata Party (Bjp), l’arrivo di Aap è riuscito ad attrarre con tecniche tipiche del populismo di più bassa lega migliaia di voti “di protesta”.
Voti che in tempo di disillusione quasi totale nella “vecchia politica” rappresentano una fiducia riposta in “qualcosa di completamente diverso”, in un uomo della provvidenza in grado di sobbarcarsi e risolvere i problemi atavici di un intero paese in tempi immediati. E questo, andando a ritroso nelle espressioni democratiche indiane, è una costante piuttosto assodata: Indira Gandhi, Rajiv Gandhi, Narendra Modi, Mayawati in Uttar Pradesh, Mamata Banerjee in Bengala occidentale, Jayalalithaa in Tamil Nadu…ogni volta che il popolo indiano è chiamato alle urne, opta per una personalità forte e accentratrice, una tentazione verso il despotismo che meriterebbe riflessioni più approfondite (avendo il tempo, gli strumenti) in futuro, anche per far traballare un po’ il cliché dell’India “più grande democrazia del mondo”.
Kejriwal è andato al governo cadendo probabilmente in una trappola ordita da Inc e Bjp, che sono riusciti ad uscire dallo stallo post-elettorale a Delhi (con nessuno dei tre partiti in grado di formare un governo senza alleanze) mandando avanti Aap, come a dire “avete sbraitato fino adesso, ora fateci vedere cosa siete in grado di fare”. E Aap ha fatto pochino: non è stato in grado, per la connotazione squisitamente “contro” che il partito ha avuto sin dalla nascita, di aprire una sorta di tavolo delle trattative con le altre forze politiche: fare riforme condivise, costruire una casa mattone per mattone piuttosto che provare a raderla al suolo come un uragano. E se si mette un uragano al governo non si può aspettarsi nient’altro che distruzione.
A muso duro contro il governo federale, contro il “governatore di Delhi”, dichiarazioni al vetriolo per non far mancare mai quella carica antagonista tanto cara al proprio elettorato, Kejriwal in 49 giorni ha dimostrato l’attuale inadeguatezza politica e amministrativa del suo movimento; sempre che l’obiettivo iniziale fosse quello, appunto, di governare.
Con le dimissioni di ieri, poiché il progetto di legge anti-corruzione – cavallo di battaglia di Aap, diverso dalla legge passata in parlamento qualche settimana fa – è stato bloccato da autorità superiori rilevando un’incompatibilità federale (non si può introdurre una legge anti corruzione solo a livello locale), la speranza di Aap è di riuscire a cavalcare ancora per due o tre mesi l’onda dell’indignazione e del dissenso, aumentando il peso elettorale che il partito potrà avere nelle elezioni nazionali di maggio. I sostenitori la vedranno come una mossa astuta, funzionale al traguardo di cambiare le cose “per davvero”, diventando primo ministro.
I non sostenitori o non estimatori – come chi scrive – penseranno che il fenomeno Aap sia soprattutto una grandissima perdita di tempo, un’illusione che nella politica indiana non cambierà una virgola, a meno che le istanze più condivisibili di ringiovanimento della classe politica non vengano abbracciate anche dal resto del sistema partitico nazionale.
Il destino del governo locale di Delhi è ancora incerto. Se indire nuove elezioni appare un’ipotesi da scartare per motivi logistici, rimangono solo due opzioni: o Inc e Bjp riescono a trovare un accordo per un’alleanza di governo (ma mi pare assurdo, viste le elezioni nazionali dietro l’angolo), oppure si passerà a un “commissariamento” gestito dal governo centrale.
Un bel casino, insomma, ma in India non ci si deve stupire. Non si arriverà alle urne prima di maggio e siamo solo all’inizio dell’entropia.
L’esperienza del governo “grillino” dell’Aam Aadmi Party (Aap) è durata precisamente 49 giorni. Arvind Kejriwal si è dimesso ieri in aperta polemica con le istituzioni che hanno intralciato l’introduzione del Jan Lokpal Bill, la versione di Aap della legge anti corruzione Lokpal Bill, a livello locale.