Dopo il rischio spaccatura tra i principali blocchi di shareholders sul caso Cina e Banca Mondiale, rientra la crisi nell’organo finanziario internazionale
“L’Executive Board del Fondo monetario internazionale riafferma piena fiducia nella leadership della Managing Director e nella sua capacità di continuare a svolgere le funzioni”. La tempesta su Kristalina Georgieva è terminata o siamo ancora nell’occhio del ciclone? La spaccatura sulla figura della Managing Director del Fondo monetario internazionale, diventata di dominio pubblico nelle scorse settimane e ancora di più a causa dello scontro tra i principali shareholders dell’istituzione finanziaria internazionale, sembra essersi ricomposta. Tuttavia, essendo nata da una diatriba prettamente geopolitica, tutto fa pensare che potrebbero, in futuro, ripresentarsi scossoni ai piani alti del Fmi.
Da una parte gli Stati Uniti e il Giappone, dall’altra il blocco europeo — Italia, Francia, Germania, Regno Unito — insieme, paradossalmente, a Russia e Cina nel sostenere la Georgieva. Perché una tale differenza di opinioni sulla Managing Director? L’accusa è di aver manipolato i dati del report Doing Business al tempo in cui Georgieva lavorava per la World Bank come Chief Executive. Nel documento, avrebbe modificato alcune statistiche dopo le pressioni della Cina per migliorare la posizione di Pechino, proprio nel momento in cui la banca negoziava un aumento multi miliardario del capitale.
La Casa Bianca ha immediatamente messo in discussione l’appoggio alla Georgieva, insieme ai Repubblicani pronti ad accusarla di vicinanza al player geopolitico in contrasto con gli Usa. La responsabile del comitato servizi finanziari della Camera, Maxine Waters, a fine settembre disse che in questo modo fu “indebolita la reputazione della Banca mondiale, ponendo dubbi sulla leadership del Fmi, dove l’integrità dei dati è cruciale nella sua missione, dove l’influenza di poteri interessati possono mettere a rischio la stabilità del sistema finanziario globale”.
Georgieva ha fin da subito respinto le accuse, prendendosi una rivincita con l’accordo raggiunto dall’Executive Board che, d’altro canto, ha posto ai margini gli Stati Uniti. Evidentemente, Russia e Cina a parte, gli alleati europei non hanno soffiato sul fuoco dello scontro ricercato da Washington, facendo nettamente capire all’amministrazione Usa che un cambio di guardia non era all’ordine del giorno. “Le informazioni presentate dall’investigazione di Wilmer Hale — uno studio legale, n.d.a. — non dimostrano che la Managing Director ha svolto un ruolo improprio relativamente al report Doing Business 2018”. Discorso chiuso, per ora.
Dopo il rischio spaccatura tra i principali blocchi di shareholders sul caso Cina e Banca Mondiale, rientra la crisi nell’organo finanziario internazionale