«Il Vietnam e le Filippine sono determinati ad opporsi alla violazione cinese delle loro acque territoriali, ha riferito il primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung, invitando il mondo a condannare le azioni della Cina in una manifestazione pubblica destinata a far infuriare Pechino».
Arrivano le prime risposte all’accordo, storico, di ieri tra Cina e Russia riguardo il gas. È interessante infatti analizzare cosa cambia per la Cina, grazie a questo accordo e quali saranno i problemi per Pechino, alla luce delle dichiarazioni di Vietnam e Filippine e del nuovo attentato in Xinjiang (ad ora 31 morti).
Pechino da tempo cerca via alternative al carbone, da cui dipende il 70 percento del proprio consumo energetico e che provoca problemi gravi di invivibilità e malattie mortali ai propri cittadini. Cresce – inoltre – quel ceto medio urbano che chiede una migliore qualità della vita. Ma i cinesi avevano bisogno di strappare un contratto favorevole soprattutto sul prezzo. Trent’anni non sono pochi, l’esborso è notevole e Pechino ha sempre chiesto a Mosca di non essere trattato come un paese qualunque.
I fatti internazionali, complici la Siria e ultimamente l’Ucraina, hanno portato i due paesi a condividere sentimenti anti occidentali. Mosca sulla questione ucraina si è trovata completamente sola contro Usa e Ue, mentre la Cina soffre da tempo il tentativo di accerchiamento Usa in Asia. Non c’era migliore possibilità di questo momento, in particolare, per sancire un’alleanza economica che getta oltre di sé l’ombra, e forse solo quella, di accordi di natura più geostrategica.

E poco prima della firma dell’accordo un quotidiano giapponese – Asahi Shimbun – ha rivelato che la Cina avrebbe annunciato una produzione annuale di 6,5 miliardi di metri cubi di shale gas (gas di scisto, ovvero il metano intrappolato nei pori e nelle fratture di una roccia composta di fango e argilla mista a a minerali, di cui la Cina pare sia ampiamente fornita, benché le tecniche di estrazione possano risultare potenzialmente pericolose), sufficienti a coprire il 3 per cento del suo fabbisogno energetico interno, entro il 2015.
Non a caso, dunque, poco dopo l’accordo non sono mancati i grattacapi locali per la Cina con Vietnam e Filippine che all’unisono si sono dichiarate contrarie alla politica di potenza nell’area.
Le Filippine a fine aprile avevano chiuso un accordo con gli Usa per l’utilizzo delle basi militari per 10 anni. Questa situazione – potenzialmente esplosiva nell’area asiatica – ingrandisce ancora di più l’importanza dell’accordo tra Mosca e Pechino, benché i toni cinesi siano più tiepidi rispetto a quelli di Mosca per quanto riguarda questioni internazionali di natura politica, vedi l’Ucraina.
Infine la questione interna. L’attentato odierno in Xinjiang manifesta ancora una volta una forte resistenza interna a Pechino e dimostra quanto l’armonia e la stabilità siano ancora lontane dall’esistere realmente nelle zone dove le minoranze etniche chiedono il riconoscimento dei propri diritti. Questioni aperte, che l’accordo storico, per certi versi, hanno immediatamente riportato in superficie.
«Il Vietnam e le Filippine sono determinati ad opporsi alla violazione cinese delle loro acque territoriali, ha riferito il primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung, invitando il mondo a condannare le azioni della Cina in una manifestazione pubblica destinata a far infuriare Pechino».