Oggi il Tribunale internazionale dell’Aja ha dato ragione alle Filippine nella disputa contro la Cina sul controllo di scogli ed atolli strategici nel Mare della Cina del Sud. Per Pechino la sentenza è semplicemente “carta straccia”. La decisione della Corte è più simbolica che altro e finirà per esacerbare lo scontro in una zona ormai strategicamente fondamentale per il “gioco” del mondo multipolare. Confermando infatti l’”internazionalità” di quelle acque la sentenza appoggia Stati uniti e alleati contro Pechino.
Secondo la Corte, come riportano le agenzie internazionali, “non ci sono elementi per sostenere che la Cina abbia storicamente esercitato un controllo esclusivo sulle acque o le risorse del Mar Cinese Meridionale”.
Per il tribunale dell’Aia Pechino ha quindi violato i diritti di sovranità delle Filippine oltre ad aver causato «gravi danni all’ambiente della barriera corallina» costruendo degli isolotti artificiali. Le autorità cinesi hanno definito «infondata» la sentenza. Pechino non riconosce il tribunale e «poiché la corte non ha giurisdizione, la sua decisione è naturalmente nulla», ha scritto l’agenzia di stato Xinhua.
In base alla Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), le Filippine rivendicano l’appartenenza delle Isole Spratly e dello Scarborough Shoal alla propria “zona economica esclusiva”. Le isole si trovano in un’area rivendicata dalla Cina, la cosiddetta «linea dei nove punti», che copre porzioni di territorio rivendicate anche da altre nazioni vicine. La linea dei nove punti venne proposta dal leader nazionalista Chang Kai Shek e poi fu rivendicata da Pechino dopo la rivoluzione comunista del 1949.
Si tratta di isole disabitate e contese da molti paesi in Asia. Nonostante si tratti per lo più di scogli, hanno grande rilevanza geopolitica e per le risorse (Nell’area dovrebbero trovarsi, secondo studi effettuati dai diversi paesi) riserve significative di gas naturale e di petrolio. Anche altri paesi dell’area, tra cui Vietnam, Malaysia, Brunei e Taiwan, ne rivendicavano la proprietà). In particolare, ricordiamo che il cosiddetto banco di Scarborough – oggetto della sentenza dell’Aia – affiora a circa 250 km dalle coste di Manila e a quasi 900 da quelle cinesi.
La corte permanente di arbitrato, che dirime le dispute internazionali sui territori marittimi, ha quindi stabilito quanto gli Stati uniti e gli stati che rivendicano aree di mare in funzione anti cinese, dicono da tempo: mentre la Cina ritiene che il 90% delle acque del Mare del Sud appartengono a Pechino, secondo la corte sarebbero in realtà acque internazionali.
La risposta della Cina è stata feroce: Pechino «non accetta né riconosce» la Corte permanente Onu di arbitrato sulla Legge del Mare e la sua sentenza sul Mar cinese meridionale, secondo quanto hanno riferito i media di Stato cinesi.
La Cina «non riconoscerà o accetterà mai» il responso a suo sfavore deciso dal Tribunale dell’Aja, assicura il ministero degli Esteri in una nota che è la prima risposta ufficiale di Pechino. «La sentenza è nulla, invalida e non vincolante», si legge. La sovranità territoriale, i diritti e gli interessi marittimi nel mar Cinese meridionale «non possono sotto alcuna circostanza essere affetti da queste sentenze». La Cina «si oppone e mai accetterà richieste o azioni basate su queste sentenze».
@simopieranni