L’Arabia Saudita ha comprato l’Islam. Per oltre 200 anni, la famiglia al-Saud ha promosso la teologia wahhabita fondamentalista, per lo più attraverso la guerra all’interno della penisola arabica; ma negli ultimi 50 anni è invece stata in grado di continuare questo progetto utilizzando i soldi del petrolio per pagare una rivoluzione dell’Islam sunnita in tutto il mondo.
La strategia di costruzione di moschee e l’organizzazione di indottrinamento fondamentalista mascherato come istruzione in un paese dopo l’altro, per poi pagare gli stipendi e le spese del clero più estremista come personale per queste infrastrutture, si è rilevata una scomessa vinta. Al Qaeda, organizzazione molto Saudita, è stato sostituito con un gruppo fondamentalista ancora più estremo, lo Stato Islamico, le cui convinzioni sono esattamente quelle promosse dai sauditi. Le dottrine fondamentaliste wahhabite o salafite sono adesso stabilite come la versione principale della teologia sunnita. Nei paesi occidentali nello stesso periodo, le popolazioni di immigrati islamici sono diventate non più democratiche e moderne, ma più intolleranti e arretrate. In molti casi, adottano il codice saudita di abbigliamento per le donne e attendono con impazienza l’introduzione di decapitazioni e lapidazioni pubbliche. Questo è il diretto risultato degli investimenti dell’Arabia Saudita nella sua jihad telecomandata: stimati a cento miliardi di dollari.
Ma c’è anche un altro lato di Arabia Saudita: è allo stesso tempo il paese di Aramco – l’Arab American Oil Company. Il XX secolo è stato il secolo del petrolio, e diventando un cliente desideroso di armi inglesi, americane, francesi e canadesi, l’Arabia Saudita è diventata parte strutturale dell’ordine economico del post-seconda guerra mondiale. Questo approccio imprenditoriale ha fatto dell’Arabia Saudita un cliente importante, e quindi un investitore così importante per Wall Street e la City di Londra, che le sue attività come promotore mondiale della rivoluzione islamica sono state semplicemente ignorate – come se fosse solo una piccola superstizione locale. Anche quando un gruppo di terroristi sauditi puntano aerei contro obiettivi americani il 9/11, l’idea di qualsiasi colpa connessa alla leadership saudita è stata rapidamente messa da parte a favore della finzione molto più conveniente che tutto era colpa di Saddam Hussein – con la conseguenza della catastrofe globale della guerra in Iraq.
Il mese scorso il Washington Post ha indagato la ‘vasta rete’ dell’Arabia Saudita di attività di lobbying e di pubbliche relazioni negli Stati Uniti. In America, non è necessario guadagnarsi il rispetto: si può semplicemente comprarlo. Il Washington Post rivela che il governo saudita paga milioni di dollari al mese per lobbisti, repubblicani e democratici, per consiglieri politici e per esperti di pubbliche relazioni, tutto ciò per assicurarsi che le attività del regno non siano mai messe in discussione. Tuttavia, il semplice fatto che il Washington Post sta conducendo questa indagine è la prova che la lunga storia d’amore americana con l’Arabia Saudita, che è iniziata quando Franklin Delano Roosevelt ha dato al re Abdulaziz la sua sedia a rotelle di ricambio nel loro primo incontro nel febbraio 1945, non sembra avere un lieto fine.
La ragione per questo è abbastanza chiara. L’invenzione del fracking significa che gli Stati Uniti è diventato un esportatore di petrolio e non ha più bisogno del petrolio dell’Arabia Saudita. Così, nonostante l’attività di lobbying e gli sforzi di pubbliche relazioni, notizie negative che contengono la parola ‘Saudita’ appaiono sempre più frequentemente.
Il paese arabo più ricco che utilizza i suoi aerei americani per bombardare il paese arabo più povero (il suo vicino, Yemen) per mesi e mesi è uno spettacolo deprimente, ma a quanto pare non interessa nessuno. Sono le storie che si affacciano nel gossip che ottengono l’attenzione della gente. Il principe saudita Abdul Mohsen Bin Walid bin Abdulaziz al-Saud, scoperto a Beirut l’anno scorso con due tonnellate di anfetamine nel suo jet privato – apparentemente per aiutare gli uomini armati dello stato islamico a restare in forma per le uccisioni e gli stupri sulla strada verso la gloria. Mi sembra che nulla sia accaduto a lui, ma la notizia ha guadagnato l’attenzione: come ha fatto la storia di un altro principe saudita, Majed bin Abdullah bin Abdulaziz Al Saud, che ha affittato un palazzo in California per una festa selvaggia, non solo con alcol e droghe, ma con il giovane principe che picchiava donne e minacciava di ucciderle, godendo un rapporto sessuale con un cameriere di fronte ai suoi ospiti, e gridando: ‘io sono un principe e faccio quello che voglio.’ Ha ragione, a quanto pare. La notizia è emersa perché il proprietario del palazzo esigeva il risarcimento dei danni all’edificio; ma sua maestà, disdegnando con due risate le accuse delle donne brutalizzate, è volato via al prossimo evento del suo fitto calendario sociale. A piede libero anche la casalinga saudita che punì la sua serva indiana per aver fatto denuncia per tortura alla polizia, tagliandole il braccio destro. Sotto la pressione degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita ha abolito la schiavitù nel 1962, momento in cui c’erano ufficialmente 300.000 schiavi nel Regno, ma è chiaro che è ancora tollerata e ampiamente praticata: come l’omosessualità maschile, anche se gli uomini sauditi, prevalentemente omosessuali, devono coesistere con un sistema giuridico folle che sta attualmente cercando di istituire l’esecuzione pubblica come punizione per il comportamento omosessuale.
Ma qualcosa sta cambiando. L’anno scorso un gruppo di famiglie di vittime del 9/11 ha tentato di citare in giudizio l’Arabia Saudita in un tribunale di New York, ma il giudice distrettuale George Daniels ha respinto il caso sulla base del fatto che una tale accusa violerebbe la sovranità di un paese straniero. La questione è stata ripresa a livello politico, e questa settimana il Senato degli Stati Uniti ha approvato una legge, la Justice Against Sponsors of Terrorism Act (JASTA) che, in teoria, renderà possibile per gli americani perseguire penalmente singoli membri della famiglia reale saudita o ufficiali per il loro coinvolgimento nel 9/11. Obama ha detto che non firmerà l’atto, ma ancora una volta, questo attira molta attenzione. Alcuni documenti riservati sono stati appena rilasciati sotto un’ordine per la libertà di informazione, da cui risulta che alcuni dei dirottatori del 9/11 stavano ricevendo denaro e sostegno, e anche aiuto per entrare in una scuola di volo, da funzionari sauditi, alcuni dei quali sono stati interrogati subito dopo gli eventi e, come rivelano i file pubblicati dal Guardian di Londra questa settimana, dimostravano tutti i segni di colpevolezza. Il governo saudita è così spaventato della possibilità che questa narrativa possa affermarsi nel mainstream americano che hanno minacciato di ritirare tutti i soldi che hanno depositato in America (750 miliardi di dollari), se il disegno di legge JASTA è promulgato.
Ma anche questa è una cortina fumogena. Il patrocino di terroristi, i bombardamenti in Yemen… queste cose sono certamente cattive. Ma il punto principale, quella di cui nessuno parla mai, è il fatto che i miliardi di al-Saud vengono utilizzati per fini teologici. Il ruolo ufficiale del regno nell’Islam è Difensore dei Luoghi Santi, ma quel titolo, tenuto per secoli dall’Impero Ottomano, non dà l’autorità di decidere questioni religiose. In tutto il mondo vediamo gli effetti dell’utilizzo di denaro come metodo alternativo.
L’Arabia Saudita ha comprato l’Islam. Per oltre 200 anni, la famiglia al-Saud ha promosso la teologia wahhabita fondamentalista, per lo più attraverso la guerra all’interno della penisola arabica; ma negli ultimi 50 anni è invece stata in grado di continuare questo progetto utilizzando i soldi del petrolio per pagare una rivoluzione dell’Islam sunnita in tutto il mondo.