
Un governo espressione di malcontento popolare più che di scelte politiche. Ministri che cavalcano il consenso a “casaccio”. E potrebbe andare peggio…
Il Premier italiano Giuseppe Conte ha un compito poco invidiabile. Il “contratto” della coalizione obbliga il suo governo a ridurre le tasse, aumentare le spese sociali e razionalizzare la burocrazia governativa. Allo stesso tempo il nuovo governo deve rispettare gli impegni europei per ridurre il debito pubblico e il deficit dell’Italia, pretendere dall’Europa maggiori risorse per l’immigrazione e gli investimenti e promuovere una profonda ristrutturazione delle istituzioni europee. Come se non bastasse, Conte deve giostrarsi tra un ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, che sembra preoccuparsi principalmente di rassicurare gli operatori di mercato, un ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che si batte a spada tratta sulle questioni legate all’immigrazione, e un ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona, sospettato di “pensare l’impensabile” rispetto all’adesione dell’Italia all’euro come moneta unica.
Naturalmente è possibile immaginare un universo in cui tasse più ridotte generino una crescita che a sua volta aumenti le entrate e permetta di sostenere maggiori spese sociali, e che la razionalizzazione burocratica possa liberare risorse sia per il periodo di transizione che nel lungo periodo. Questa è la formula che ha ispirato le politiche economiche di Ronald Reagan all’inizio degli anni ‘80 negli Stati Uniti e che dovrebbe conciliare gli obiettivi politici contrastanti di Lega e M5S. Il problema per Conte è che non esiste un “voodoo” teorico – così George H.W. Bush descriveva le politiche di Reagan – per la parte europea del puzzle e quindi gli operatori di mercato si stanno concentrando attentamente sui segni di tensione. Basti pensare a come la combattività di Salvini strida con il calmo contegno di Tria. La domanda è se l’influenza di Savona si rivelerà decisiva o meno, e quanto ne risentirà il rapporto dell’Italia con il resto d’Europa. A giudicare dalla sfilza di ricerche bancarie, dai rapporti delle società di consulenza e dai commenti pubblicati sui giornali nel corso dell’estate, nessuno sembra credere che Savona possa influire in modo positivo sul rapporto con l’Europa.
Ma potrebbe trattarsi di un errore di valutazione: Il nuovo ministro per gli Affari Europei potrebbe esercitare un’influenza più tranquillizzante di quanto la maggior parte degli osservatori non creda. Savona sostiene di poter offrire una soluzione che non solo stabilizzerà la posizione dell’Italia in Europa, ma rafforzerà anche il progetto europeo. Prima di respingere a priori questa affermazione, vale la pena esaminare attentamente ciò che Savona ha da dire sulle priorità europee del governo Conte e l’influenza che sta cercando di esercitare al suo interno.
Nei suoi discorsi e nelle interviste rilasciate da quando è stato nominato agli Affari europei, Savona ha insistito su tre punti, in linea con posizioni italiane ormai consolidate: l’Italia per prosperare ha bisogno dell’accesso a un mercato europeo integrato; un mercato integrato è stabile solo se è sostenuto da una moneta comune; l’obiettivo ultimo del progetto europeo è quello di mitigare l’influenza di un mercato comune e di una moneta comune con una qualche forma di unità politica. Il problema, ammette Savona, è che queste cose non si possono realizzare tutte insieme. Il mercato unico e la moneta unica sono venuti prima. L’unità politica si è persa lungo il cammino, così come il contesto internazionale di sostegno fornito dagli Stati Uniti. Da questi sviluppi sono sorti altri due problemi. Il primo è che le disuguaglianze si sono accumulate nel mercato unico e nella moneta unica, andando a minare la legittimità di entrambi i meccanismi. Il secondo è che il concetto di unità politica è cambiato, passando da qualcosa di più concreto e centrato sull’Europa a qualcosa di più chiaramente fondato sul funzionamento delle democrazie nazionali. Gli europei, senza una leadership globale degli Stati Uniti che li sostenga, dovranno affrontare questi problemi da soli.
Per Savona la soluzione al primo problema consiste nel riformare l’architettura delle istituzioni e delle politiche dell’Unione Europea. In particolare egli ritiene che la Bce debba svolgere un ruolo più attivo nella gestione dei tassi di cambio e nell’erogazione di crediti di ultima istanza sia alle banche che ai soggetti sovrani. La Bce dovrebbe inoltre concentrarsi di meno sulla stabilità dei prezzi e svolgere un ruolo più simile a quello di altre importanti banche centrali. Savona insiste anche sul fatto che l’Ue dovrebbe puntare a una politica di bilancio anticiclica aumentando gli investimenti pubblici. Inoltre i Paesi dell’Ue dovrebbero adoperarsi per mantenere relazioni più equilibrate con il mondo esterno. Rispetto alle risorse cui attingere per aumentare gli investimenti, Savona indica l’ampio avanzo delle partite correnti dell’economia italiana e l’esportazione del risparmio nazionale che esso rappresenta.
Il secondo problema è più importante, ma anche più difficile da risolvere. In relazione alle questioni economiche Savona ha più volte sottolineato che i requisiti tecnici sono tutti chiari, ma manca la volontà politica di soddisfarli a livello comunitario. Al fine di stimolare tale volontà politica l’Italia deve assumere una posizione chiara, come prevede anche l’accordo di governo. Savona ha rilanciato la commissione incaricata di coordinare le politiche dell’Ue tra i diversi ministeri, facendosi carico del tentativo di elaborare una posizione comune da fornire a Conte. Il ministro ha anche voluto amplificare il messaggio rassicurante di Tria, come dimostra la sua dichiarazione del 10 luglio sul programma Ue del governo. Agli operatori di mercato Savona ha assicurato che, nel definire il proprio programma, il governo avrebbe dovuto tenere conto dei sentimenti del mercato; ai partner della coalizione ha ricordato che la più grande minaccia al raggiungimento degli obiettivi è l’impazienza. Se il governo intende affidarsi alla crescita per finanziare le spese sociali, dovrà innanzitutto attendere che tale crescita si verifichi.
Coordinamento e rassicurazione sono solo una parte della soluzione. Il resto, afferma Savona, dipende dalla capacità di creare consenso intorno a un programma di riforme e dalla riscoperta di una visione comune di unione politica. Il consenso passa attraverso la diplomazia. La visione comune emergerà, almeno in parte, dalla creazione di una “scuola europea” dove studiare e riunire le diverse tradizioni culturali e politiche del continente. Secondo Savona questo è il modo migliore per ripristinare la vecchia promessa europea di pace e prosperità e per riportare l’Europa sulla strada della legittimazione democratica. L’attuale governo di Lega e M5S, egli sostiene, è l’espressione del malcontento popolare verso le forze di mercato e la politica. Se tale governo dovesse fallire nei suoi intenti, la prossima espressione di malcontento potrebbe essere molto più forte e dannosa.
Questa osservazione ci suggerisce un’analogia storica con l’Italia delle elezioni del novembre del 1919. Il liberalismo centrista viene sconfitto, mentre nuovi movimenti politici più assertivi si affermano. La sfida è trovare il modo di canalizzare le aspirazioni politiche che questi movimenti incarnano. La differenza è che l’Italia di oggi vive in un’Europa molto più solidale di quella emersa dalla prima guerra mondiale. Gli estremismi politici sono meno terrificanti e le opzioni da scongiurare sono già note. Non per questo la situazione attuale è meno complessa: il lavoro di Conte resta poco invidiabile, i partner della coalizione sono difficili, l’agenda politica è contraddittoria e le relazioni con l’Europa sono profondamente ambigue. Il punto è che i partner europei hanno sia l’opportunità che l’obbligo di collaborare con il nuovo governo italiano. Sebbene sia una figura controversa, il ministro per gli Affari europei italiano sembra offrire una visione dell’Europa più positiva di quanto molti non si aspettassero all’inizio.
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Un governo espressione di malcontento popolare più che di scelte politiche. Ministri che cavalcano il consenso a “casaccio”. E potrebbe andare peggio…