L’opera è passata alla storia come Sunzi Bingfa, 孫子兵法, ovvero l’Arte della Guerra del Maestro Sun, il generale e filosofo cinese, vissuto probabilmente tra il VI e il V secolo a.C.
L’ideogramma cinese 兵 bīng “soldato, forze armate e armi” rappresenta due mani che impugnano un’ascia, l’arma da guerra cinese per eccellenza; l’ideogramma 法 fǎ indica, invece, “il metodo, la norma, l’arte” ed è graficamente scomponibile in due parti, nella parte sinistra tre tratti, simbolo di tre gocce d’acqua, a destra, invece, il verbo 去 qù “andare”.
In questo volumetto, che si dice abbia guidato nelle scelte militari addirittura Mao Tse-Tung, Napoleone Bonaparte e il Generale Douglas MacArthur, compaiono chiari riferimenti agli aspetti tecnici della battaglia di cui Sun Tzu offre una visuale concreta, passando ad affrontare vari temi, tra i quali gli equipaggiamenti bellici, lo spionaggio, le strategie di attacco e le tecniche di incitamento dei soldati.
Tuttavia, non è nel dettaglio delle tecniche militari che risiede l’aspetto peculiare dell’opera ma nell’analisi della guerra come descrizione della parabola della vita. Perché la guerra, sotto la lente cinese di Sun Tzu, è sinonimo di evoluzione, rivoluzione e mutamento, caratteristiche necessarie per sentire il fluire della vita.
Ciò che invece corrompe gli animi è la stasi che, ponendo l’individuo a resistere alle forze della vita e al divenire delle cose, annichilisce l’animo e allontana dalla verità.
