Un tweet di cattivo gusto è alla base del licenziamento, poi convertito in sospensione, di un giornalista della più importante radio indipendente russa, Ekho Moskvy. Subito è stata chiamata in causa la libertà di stampa in Russia, sempre più a rischio, ma il caso dell’Eco di Mosca potrebbe essere accaduto in qualunque Paese occidentale, e le reazioni non sarebbero state meno forti.

Partiamo da un dato certo. La Russia è 148sima nella lista stilata da Reporters without borders. L’Italia non è messa molto meglio (49sima, dopo la Nigeria), se si considera il contesto europeo e delle democrazie occidentali in genere. Senza voler dare lezioni, quindi, possiamo scrivere senza tema di smentita che la Russia non è un Paese che brilla per libertà di stampa.
Detto questo, l’episodio di Radio Ekho Moskvy ha qualcosa che non mi convince fino in fondo. Ma vediamo prima cos’è successo.
Agli inizi di novembre Aleksandr Plyushchev, voce storica della radio, ha scritto un tweet sulla morte del figlio del capo di gabinetto di Putin, Aleksandr Ivanov, avvenuta il giorno prima per incidente stradale negli Emirati arabi. “La morte di Ivanov è la prova dell’esistenza di una giustizia divina?”, ha scritto Plyushchev. Il tweet faceva riferimento a un caso del 2005 in cui Ivanov aveva investito e ucciso un pensionato di 68 anni mentre attraversava sulle strisce a Mosca. Ivanov non era mai stato punito per quell’omicidio.
Giustizia divina
A Plyushchev è stato notificato un avviso di licenziamento per gravi violazioni del codice etico. A consegnarglielo è stata la direttrice generale dell’emittente, Yekaterina Pavlova, al comando della radio da meno di un anno. Il principale azionista della radio è il gigante statale Gazprom, e questo ha fatto subito definire dai media occidentali il licenziamento di Plyushchev come l’ennesimo atto di intimidazione nei confronti della stampa non allineata al Cremlino.
Qualche giorno fa, però, il consiglio di amministrazione di Gazprom Media si è riunito e ha deciso di ritirare il licenziamento di Plyushchev, che sarà solo sospeso fino a gennaio. In cambio, Ekho Moskvy dovrà stilare un codice di condotta per i propri giornalisti nell’uso dei social media. La bozza sarebbe già pronta.
Nel frattempo Plyushchev ha cancellato il suo tweet e ha chiesto scusa.
Una profezia che si auto avvera
Cosa c’è che non va finora? Diciamo intanto che il tweet di Plyushchev è stato di cattivo gusto e non adatto a un giornalista professionista. Aspettiamo di vedere il regolamento sull’uso dei social media da parte dei giornalisti di Ekho Moskvy per dire se comporterà una limitazione della libertà di stampa e del diritto di espressione. Per come si è svolta finora, però, la vicenda sarebbe potuta accadere in uno qualunque dei paesi nella fascia alta della classifica di Reporters without borders.
Il fatto che Ekho Moskvy sia in parte di proprietà di un editore “impuro” come Gazprom è la regola qui in Italia. Mentre Bbc e Associated Press, tanto per citare due colossi di credibilità e autorevolezza, hanno già da tempo dei codici interni di condotta per i giornalisti che twittano o scrivono su Facebook.
L’episodio di Ekho Mosvy non è un caso di un censura sui media, ma a chiamare sempre in causa la scomparsa della libertà di stampa in Russia si rischia di trasformarla in una profezia che si auto avvera.
Un tweet di cattivo gusto è alla base del licenziamento, poi convertito in sospensione, di un giornalista della più importante radio indipendente russa, Ekho Moskvy. Subito è stata chiamata in causa la libertà di stampa in Russia, sempre più a rischio, ma il caso dell’Eco di Mosca potrebbe essere accaduto in qualunque Paese occidentale, e le reazioni non sarebbero state meno forti.