GOVERNANCE GLOBALE – L’Europa globale
L'Europa deve rafforzare il proprio antagonismo sulla scena internazionale per contrastare le spinte centrifughe autarchiche

L’Europa deve rafforzare il proprio antagonismo sulla scena internazionale per contrastare le spinte centrifughe autarchiche
A tre anni dall’insediamento di Donald Trump, l’Europa sta adattandosi a una situazione in cui, per dirla con la Cancelliera Angela Merkel, ‘non può più contare su altri’. Il presidente americano è profondamente scettico sul valore delle alleanze degli Usa, nonché sulla governance globale nel suo complesso. La ricerca di un’autonomia strategica per l’Europa è così diventata una questione di necessità. L’Europa deve essere in grado di partecipare al ‘gioco multipolare’ con America, Cina e Russia, in Medio Oriente, su riscaldamento climatico, commercio e altre questioni, in modo da difendere il suo interesse fondamentale nella cooperazione internazionale basata su pratiche accettate e regole comuni.
Il maggiore ostacolo all’autonomia strategica dell’Europa è l’incapacità di provvedere alla sua difesa. Le prospettive che l’Ue si trasformi in una potenza militare nel prossimo futuro sono nulle, e pertanto gli europei continueranno a dipendere dalle garanzie di sicurezza americane. Questo però non implica subordinazione passiva. Dopotutto, pochi a Washington condividono la convinzione di Trump che l’alleanza con gli europei sia un peso inutile. Gli europei devono intercettare il persistente interesse americano nella cooperazione transatlantica (e nel mantenimento di forze schierate in paesi amici). Aumentare il contributo alla difesa dell’Europa, in particolare in contesto Ue, è fondamentale per spingere gli americani a mostrare riguardo verso gli interessi europei. Inoltre, maggiore cooperazione in materia di difesa renderebbe più difficile agli Usa usare rapporti militari con singoli paesi europei per perseguire politiche all’insegna del divide et impera.
La Russia presenta un diverso tipo di sfida. Il piano del presidente Vladimir Putin è di esacerbare le divisioni intra-europee e alimentare la sfiducia verso l’Ue per mezzo di intimidazioni, attacchi cibernetici, restrizioni commerciali, disinformazione, e sostegno alle forze euroscettiche. Gli europei hanno ottenuto dagli Usa il rafforzamento delle misure di deterrenza, intensificato i rapporti con l’Ucraina e adottato sanzioni. Nel frattempo, gli europei hanno tentato di ‘legare’ a sé la Russia con regole e dialogo. Specificatamente, sono riusciti a portare più disciplina in campo energetico, forzando gli esportatori di gas russi a seguire le regole del mercato comune. Nello stesso tempo, gli europei collaborano con la Russia alla difesa dell’accordo nucleare con l’Iran, che l’amministrazione Trump vuole far deragliare. Dato il ruolo chiave della Russia per la sicurezza e gli approvvigionamenti energetici dell’Europa, nonché per la stabilità del Medio Oriente, l’Europa ha mostrato una certa capacità di far valere i propri asset nel ‘gioco’ geopolitico.
Non si può dire altrettanto riguardo alla Cina. Gli europei non hanno fatto abbastanza per contrastare la violazione della proprietà intellettuale e i limiti all’accesso al mercato, nonché contenere il rischio che gli investimenti cinesi diano a Pechino eccessiva influenza. Di recente le istituzioni europee hanno lavorato a un meccanismo di screening degli investimenti stranieri, ma i risultati devono ancora vedersi. Più bilanciata è la relazione con la Cina, più gli europei possono modularla in base alle loro preferenze. Un esempio è il contrasto al cambiamento climatico, su cui l’Ue può persuadere la Cina ad adottare un’agenda più ambiziosa. Un altro è il commercio. Se gli Usa dovessero perseverare nell’uso di tariffe, gli europei dovranno prendere seriamente in considerazione l’offerta cinese di far fronte comune.
Le politiche europee in Nord Africa e Medio Oriente, dove sono in gioco significativi interessi di sicurezza, energetici e legati ai flussi migratori, disegnano un quadro in chiaroscuro. Nonostante il sostegno (retorico) alla transizione post-autoritaria dell’Egitto, i paesi europei hanno tacitamente accondisceso alla contro-rivoluzione del presidente-generale Abd al-Fattah al-Sisi. Ai conflitti in Siria e Libia si è guardato soprattutto dalla prospettiva del controllo delle frontiere. L’azione europea si è sostanziata soprattutto nell’accordo Ue-Turchia, mediato dalla Germania, e la serie di intese negoziate dall’Italia con attori locali, per ridurre i flussi in uscita rispettivamente da Siria e Libia. Pur insufficienti sul piano pratico e moralmente controversi, questi accordi riflettono una valutazione realistica delle limitate capacità dell’Europa di influenzare gli eventi sul terreno, nonché degli effetti disaggreganti che la percezione di flussi migratori incontrollati hanno sulla coesione dei paesi Ue e fra opinione pubblica e istituzioni europee.
Il contributo all’accordo nucleare con l’Iran (alla cui origine c’è un’iniziativa europea) rappresenta un’eccezione in questo senso. Se l’Europa vuole un ruolo nella geopolitica della regione, deve difendere la promessa – implicita nell’accordo – di un coinvolgimento pragmatico dell’Iran. Salvaguardare l’accordo nucleare non è solo una questione di non-proliferazione. Riguarda anche l’opposizione all’aggressivo contenimento dell’Iran – in realtà una politica di cambio di regime mascherata – da parte di una coalizione formata da Israele, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti e sostenuta dagli Usa. La destabilizzazione della Repubblica islamica avrebbe gravissime ripercussioni sulla stabilità del Medio Oriente e anche sulla sicurezza europea, che sarebbe meglio garantita da un sistema di governance regionale basato sulla coesistenza dell’Iran e dei suoi rivali.
Per gli europei è inoltre di fondamentale importanza trovare un modo per aggirare le sanzioni americane con effetto extraterritoriale. Il Congresso ha adottato questo tipo di sanzioni (dette ‘secondarie’) non solo contro chi fa affari con l’Iran, ma anche la Russia. Visto come si è invelenito il dibattito sulla Russia in America, il governo Usa potrebbe prendere misure verso Mosca più dure di quanto gli europei considerino saggio e usare le sanzioni secondarie per forzare loro la mano.
L’autonomia strategica dell’Europa si basa sul continuo consolidamento dell’Ue, uno dei principali bersagli delle forze nazionaliste che oggi godono di crescente consenso. In superficie, l’agenda dei nazionalisti contiene il seme della frammentazione europea, soprattutto se dovessero prendere il potere a Berlino o Parigi. Tuttavia la realtà è che i nazionalisti non possono difendere confini, aziende e posti di lavoro nazionali se la cooperazione intra-Ue collassa. In questo senso, la ricerca dell’autonomia strategica ha fondamentali implicazioni per la sostenibilità del progetto europeo, perché crea spazio per conciliare l’agenda nazionalista con l’esperimento Ue.
Il termine ‘autonomia strategica’ è stata divulgato dalla Strategia globale dell’Ue, un testo del 2016 che insiste molto sulla natura ibrida della politica estera europea come combinato dell’azione di stati membri e istituzioni Ue. La Strategia globale ha intessuto un discorso che lega interessi nazionali ed europei, sovranità nazionale e autonomia europea. Orientare le politiche europee in questo senso aiuterebbe a ricreare consenso per alcuni capisaldi del liberalismo europeo del dopoguerra, e cioè confini aperti, mercato e regole comuni, sovranità condivisa. O almeno renderebbe più facile all’opinione pubblica afferrare i vantaggi della coesione europea, che i nazionalisti europei non possono liquidare così facilmente come fanno quelli americani.
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