La Turchia ci ripensa e sconfessa sette anni di politica estera all’insegna del dinamismo e del protagonismo a tutti i costi. O almeno così pare. Sta di fatto che degli accadimenti delle ultime ore, ossia il riavvicinamento alla Russia e a Israele, si può dare una lettura un po’ diversa da quella all’insegna del ‘e vissero tutti felici e contenti’.
Ankara potrebbe uscire dalla condizione di isolamento nella quale si era cacciata negli ultimi anni, ma per farlo ha dovuto abbassare la testa e non poco. Soprattutto ha dovuto prendere coscienza di un fatto: per quanto con un’economia in crescita e una posizione strategica, ci sono altre due nazioni che vogliono giocare un ruolo di player nel Mediterraneo. La prima è l’Arabia Saudita e la seconda è l’Egitto con cui, notoriamente, la Turchia da quando è salito al potere al-Sisi, ha qualche problema. Ma se vuole entrare nell’asse sunnita in chiave anti Iran dovrà farsi andare bene anche Il Cairo.
È proprio Teheran la chiave di tutto. L’accordo sul nucleare firmato nei mesi scorsi ha automaticamente sdoganato la Repubblica Islamica, che sta attraendo investimenti stranieri, con tutto quello che ne deriva per le alleanze del futuro.
La mossa non è piaciuta per niente a Gerusalemme che, per evitare l’isolamento, ha concesso alla Turchia, che ci provava da un po’, di fare pace, a condizioni ben precise e sapendo che tanto c’è sempre l’Egitto a pensare agli equilibri della nazione. Il presidente Erdogan, che ai tempi della crisi della Mavi Marmara, la nave attaccata dalla marina israeliana in acque internazionali e devo morirono nove persone, aveva richiesto la fine del blocco di Gaza, ha dovuto accontentarsi della possibilità di inviare materiale umanitario, le scuse e una compensazione di 20 milioni di dollari. Ma che vi sia una legittimazione di Hamas da parte di Gerusalemme se lo può scordare.
Dopo tentativi di minimizzare quello che era accaduto, Erdogan ha dovuto chinare la testa anche con Mosca. A convincerlo saranno stati i danni per miliardi di dollari all’economia nazionale seguiti all’abbattimento del Sukhoi del 24 novembre scorso, culminati con il dato sulle prenotazioni turistiche di questa estate: -40% rispetto allo scorso anno. Un po’ a causa dell’emergenza terrorismo, un po’ perché i russi che hanno deciso di disertare la Mezzaluna si contano a decine di migliaia.
L’immagine è quella di un Paese costretto ad azioni di rattoppo dopo avere tenuto toni di ben altro genere per anni e che con la gestione scellerata e in malafede della crisi siriana, al di là delle apparenze, davanti a molti ha inevitabilmente perso di credibilità.
La Turchia ci ripensa e sconfessa sette anni di politica estera all’insegna del dinamismo e del protagonismo a tutti i costi. O almeno così pare. Sta di fatto che degli accadimenti delle ultime ore, ossia il riavvicinamento alla Russia e a Israele, si può dare una lettura un po’ diversa da quella all’insegna del ‘e vissero tutti felici e contenti’.