
Le dichiarazioni di Trump all’Onu contro l’Iran Deal contribuiscono a costruire il nemico iraniano in Usa tanto quanto rinforzano l’immagine del Grande Satana in Iran. Una polarizzazione ideologica che giova ai falchi di entrambe le parti. Ma Teheran non intende rinunciare ai benefici economici dell’accordo.
Alla sua prima volta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con le spalle accartocciate, le mani giunte e lo sguardo dritto davanti a sé, mentre qualcuno sembra tendere un braccio davanti alla sua bocca, quasi per zittirlo: è questa l’immagine di Donald Trump che campeggia sulla prima pagina del quotidiano riformista iraniano “Shargh”, all’indomani del discorso-invettiva pronunciato dal presidente americano contro Teheran e non solo.
“L’accordo con l’Iran è un imbarazzo per gli Stati Uniti”, ha detto Trump. E sono proprio le sue stesse parole a incorniciare la foto. Il sottotesto appare identico a quello che su Twitter si è tradotto in un hashtag parecchio più diretto: #ShutupTrump, “taci, Trump”. Fastidio, misto a rabbia e incredulità sono state le principali reazioni degli iraniani all’attacco dell’inquilino della Casa Bianca che all’Onu ha affermato: “Non possiamo rispettare un accordo che fornisce copertura per l’eventuale realizzazione di un programma nucleare”, per poi accusare Teheran di “attività destabilizzanti” e di “sostegno al terrorismo“. Per il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, uomo-simbolo dei negoziati e per questo figura molto popolare in patria, “l’ignorante parola d’odio di Trump appartiene all’epoca medievale, non al XXI secolo, ed è indegna di una risposta”.

A poche ore dall’inno al sovranismo del presidente americano, il quotidiano conservatore Kayhan ammoniva il presidente Hassan Rouhani – pragmatico, votato alle riforme in materia economica e strenuo promotore del cosiddetto Iran Deal – a non portare solo promesse dal suo viaggio a New York. Invitava a mettere alle strette “il Grande Satana”. A discorso pronunciato, i più oltranzisti e detrattori dei negoziati con l’Occidente e con gli Stati Uniti – dai tempi della rivoluzione del 1979 considerati acerrimi nemici della Repubblica islamica – hanno continuato a fare pressioni. L’obiettivo di questa retorica è uno: il programma nucleare iraniano deve tornare al passato pre-accordo e la costruzione del nemico fatta da Trump giova proprio a questa visione.
Eppure lo stile della coppia Rouhani-Zarif in politica estera segue da anni uno schema completamente opposto: trattare, aprire, negoziare, difendere l’Iran deal. Così come ha ribadito il presidente Rouhani nel suo discorso in risposta a Trump. “Il presidente degli Usa ha pronunciato parole ignoranti e sgradevoli contro l’Iran. Accuse odiose e senza fondamento, inadatte per l’Assemblea Generale dell’Onu”. Teheran non sarà la prima a violare l’intesa, ma non resterà ferma, ha aggiunto il presidente iraniano in conferenza stampa: “Se gli Stati Uniti scelgono di violare l’accordo sul nucleare significa che poi le nostre mani saranno completamente libere per prendere qualsiasi scelta, opzione ed azione che sia di beneficio al nostro paese”. E ancora: “Ogni stato che fa il primo passo per violare questo accordo non mostra solo che ha rotto una promessa, ma ha aperto le porte ad una mancanza di fiducia”.
In un Iran fortemente colpito dalle sanzioni internazionali, l’intesa sul nucleare ha rappresentato la speranza di trovare una porta d’uscita da un lungo periodo di crisi.
Se non stupisce che il quotidiano governativo Iran apra con le dichiarazioni di un rappresentante Onu: “Tutte le parti devono proteggere l’accordo”, sono rilevanti – perché trasversali e sparse su tutte le prime pagine dei giornali – le parole (e le foto) di Rouhani: “L’Iran è pronto ad ogni situazione”, “L’Iran non è preoccupato da nessuna minaccia”, “Uscire dall’accordo comporterebbe un costo molto alto per gli Stati Uniti”.
E ancora: se fuori da una cornice interpretativa geopolitica, nella realtà la situazione è parecchio più complessa, è altrettanto vero che le difficoltà economiche dell’Iran di oggi, hanno una spiegazione interna, ma anche una esterna, strettamente connessa alla dimensione internazionale. Da un lato, infatti, Teheran sta ancora scontando la mala gestio del settore pubblico e le politiche economiche dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ha tagliato i sussidi statali ai carburanti e portato a rincari anche su luce e gas nelle case, lasciando il Paese – dopo due mandati – con un tasso di inflazione al 40% e la disoccupazione al 12,3%. Dall’altro, è le sanzioni internazionali hanno precluso per anni all’Iran il settore finanziario e l’interscambio con l’Europa, nonché l’esportazione delle risorse energetiche, le relazioni commerciali nei settori di tecnologia, oro e preziosi [qui tutte le misure, ndr].
Proprio in questo secondo contesto si inserisce la politica estera degli Usa di Trump.
L’oggetto del contendere: Iran deal e non solo
L’attacco è ufficialmente mirato al cosiddetto Iran deal, l’intesa tra i Paesi del gruppo 5+1 [ovvero Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna, più la Germania], l’Ue e l’Iran per la sospensione delle misure restrittive imposte da Unione europea e Nazioni Unite [gli Usa sono stati i primi sanzionatori, ndr] contro la Repubblica islamica. Il 2016 è stato l’anno zero di Teheran: anche se non tutte le sanzioni sono state revocate, [vedi qui], l’Iran è tornato de facto sulla piazza internazionale. Poi è arrivato “The Donald” alla Casa Bianca e ha provato, mese dopo mese, a smantellare la credibilità dell’accordo voluto dall’amministrazione Obama.
I passaggi sono stati i seguenti:
1) a febbraio ha twittato con il “terrible deal” firmato dall’amministrazione Obama,
2) a maggio, mentre gli iraniani votavano alle presidenziali, volava in Arabia Saudita e dichiarava: “Unitevi a me, combattiamo insieme. Perché uniti non possiamo fallire. (…) L’Iran sostiene il terrorismo”,
3) a luglio ha provato in tutti i modi a dimostrare che Teheran non rispettava i termini dell’accordo, salvo poi dovere tecnicamente ammettere il contrario,
4) poche settimane dopo ha aggiunto altre sanzioni contro l’Iran,
5) oggi tenta con l’equazione Iran uguale Corea del Nord in termini di minaccia e pericolo per la sicurezza.
Esaspera la polarizzazione ideologica, ma finora l’amministrazione Trump non è riuscita a produrre nessuna prova di violazioni da parte di Teheran. L’astio contro l’Iran, dunque, va ben oltre la questione nucleare in sé che spesso nella retorica statunitense viene bypassata per fare spazio alla costruzione del nemico Iran in termini più strategici, di minaccia contro la “sicurezza” e fonte di “instabilità regionale”. La strategia si sviluppa, quindi, mescolando l’Iran deal con altre accuse rivolte alla Repubblica Islamica e non sembra così remoto pensare che l’alleanza Usa con i sauditi di Ryadh (rivali di Teheran nella lotta per l’egemonia regionale) e gli obiettivi statunitensi in Iraq e Yemen abbiano un ruolo determinante in queste manovre.
@transit_star
Le dichiarazioni di Trump all’Onu contro l’Iran Deal contribuiscono a costruire il nemico iraniano in Usa tanto quanto rinforzano l’immagine del Grande Satana in Iran. Una polarizzazione ideologica che giova ai falchi di entrambe le parti. Ma Teheran non intende rinunciare ai benefici economici dell’accordo.