
Quando si parla di sogno cinese, come abbiamo specificato nella presentazione di questo blog, si tratta anche di occuparsi degli incubi di chi non si riconosce nello slogan lanciato dal Presidente Xi Jinping. Nel processo di trasformazione del paese il lavoro occupa un ruolo fondamentale.

Innanzitutto la Cina non è più la fabbrica del mondo, anzi è la stessa Pechino a delocalizzare in paesi asiatici o africani. Inoltre la crisi occidentale ha richiesto un’attenzione allo sviluppo del mercato interno che ha anche portato ad un aumento dei salari specie delle zone più ricche del paese, la costa a sud est ad esempio.
Inoltre in Cina ultimamente – stando a quanto riportato dai media di stato e da ricerche di mercato – in alcune aree soprattutto, comincia a mancare la manodopera, perché i giovani laureati preferiscono cercare lavoro nell’ambito dei servizi. E proprio i neo laureati oggi in Cina costituiscono un potenziale motivo di tensione sociale.
Quest’anno la Cina ha prodotto il suo record di laureati. Si tratta di 7 milioni di persone, che ora sono in cerca di lavoro. Non tutti lo troveranno perché per la prima volta nella storia della Cina dall’epoca delle Riforme, questi giovani si troveranno in una situazione di crescita minore, prevista al 7,5, o perfino al 7,3 percento, quando non il 7 e basta.
Anche il premier Li Keqiang recentemente si è espresso in favore di questa massa di ex studenti, che cresciuti nello sviluppo e nel benessere economico, specie se provenienti o abitanti in città di prima fascia, rischiano di ritrovarsi a lavorare in linea, in fabbrica, dato il boom del settore dei servizi che pare stia rendendo insufficiente proprio la manodopera necessaria alla produzione cinese.
Il tasso di disoccupazione dello scorso marzo era dato al 4,1 percento, secondo il Financial Times. Per il giornale economico britannico il 28 percento dei neo laureati a Pechino trova lavoro, rispetto al 49 percento nel sempre verde polmone economico che è la regione meridionale del Guangdong, che non a caso da sola produce un quinto delle esportazioni cinesi.
I neo laureati non sono l’unica spina del fianco nel settore lavorativo. Anche la Cina infatti ha scoperto i «precari». Dal primo luglio dovrebbe essere operativa la modifica alla legge sul lavoro del 2008, che dovrebbe mirare proprio a proteggere la categoria di lavoratori interinali, assunti dalle aziende, specie quelle di stato, via agenzie interinali. Non tutto però sembra poter procedere secondo la normativa.
Il sito people.com.cn – il website del Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito Comunista cinese – ha fatto un sondaggio on line dal quale risulta, ad esempio, che i lavoratori occasionali della Guangdong Mobile a Canton guadagnerebbero solo un terzo della retribuzione dei dipendenti della società. I sindacati cinesi hanno subito specificato che si tratterebbe di numeri falsi, indicando che «la percentuale di lavoratori esternalizzati rispetto a quelli impiegati direttamente non era più del 5 per cento».
Il South China Morning Post di Hong Kong però ha ripreso l’opinione di «un manager di un’agenzia di lavoro interinale di Shanghai, secondo il quale la cifra reale sarebbe superiore» tanto che si dice felice di quanto il provvedimento del 2008 abbia migliorato il business della sua azienda. «In media, racconta, più della metà dei lavoratori presso le aziende con cui lavoriamo sono mandate da noi – in alcuni casi la percentuale è del 90 per cento». Se avesse seguito la regola non scritta, secondo la quale le assunzioni precarie non dovrebbero superare il 10 percento del numero dei lavoratori impiegati, ha affermato che l sua azienda sarebbe stata chiusa nel giro di due anni.