Putin e Xi Jinping: il Wall Street Journal recentemente li ha accostati, cercando di carpirne similitudini e differenze. Ma come si è arrivati a questa situazione di quasi alleanza, dopo l’accordo sul gas e i fatti in Ucraina? Quali sono i motivi di “vicinanza” e quali di attrito e soprattutto qual è la visione futura dei due leader circa il rapporto tra i due paesi?

La guerra in Ucraina – recentemente giunta ad una tregua, conclamata con un cessate il fuoco stabilito tra Kiev e i ribelli delle regioni orientali – è stata chiaramente molto di più di un semplice confronto tra Stati Uniti e Russia.
Mosca, con la guida di Putin, ha recuperato quell’ambizione di contare sullo scacchiere mondiale, per certi verso connaturato alla natura storica del paese. La Russia, secondo gli osservatori internazionali, ha dimostrato la ripresa di una naturale vocazione a creare blocco e ad attrarre paesi nella propria sfera di influenza. Si tratta di una caratteristica – ad esempio – meno riscontrabile nella Cina, storicamente più chiusa in se stessa e con minore ambizione di creare un «blocco» da contrapporsi ad un altro (seppure nel periodo storico maoista, si sia posta alla guida dei paesi del terzo mondo a Bandung, in un clima più generale di poca ingerenza sugli affari stranieri. Allora la lettura geopolitica era di Mao e prevedeva lo scoppio di una nuova guerra, che la Cina avrebbe dovuto leggere in chiave internazionalista).
Per quanto riguarda l’Ucraina, la lettura che ne viene data a oriente, in particolare da Mosca e da Pechino è che tutto sia stato creato da Nato e Usa, per consentire un allargamento a est dell’alleanza atlantica, del resto in corsa ormai da tempo. Gli Stati uniti, quindi, hanno soffiato sul fuoco della rivolta di Majdan, dando manforte ai politici locali nella propria sfera di influenza e sfruttando abilmente la manovalanza neonazista nei fatti di piazza. Lì per lì, si sarebbero poco interessati alle alchimie che si sarebbero messe in moto, puntando a escludere la Russia dal controllo del paese.
La Cina in questa situazione, con la Crimea alla Russia e una guerra in corso nelle regioni di Donetsk e Lugansk, ha mosso la sua arte della pazienza. Una pazienza che in realtà andava avanti da diversi anni e che si è infine concretizzata nel maggio scorso, in uno dei momenti più delicati della crisi ucraina, con la chiusura dell’accordo sul gas con la Russia.
La pazienza cinese, in questo caso, ha avuto come principale obiettivo il prezzo dell’accordo (minore dei prezzi concessi all’Europa e di poco maggiore al prezzo che Putin aveva garantito a Yanukovich prima dello strappo di Majdan). Si sono fatte molte speculazioni al riguardo, ma l’accordo finisce per regolare la pipeline nel territorio storicamente più conteso tra Russia e Cina, ovvero la Siberia, attuale motivo di alleanza economica, ma potenziale disturbo delle relazioni, per questioni puramente territoriali.
Una pazienza sfoderata non certo solo per il gas.
Mettiamo in fila – infatti – alcuni punti. Innanzitutto, la Cina da tempo ha provato a ovviare al lato più debole di tutta la sua economia e di conseguenza «armonia sociale», ovvero la necessità di risorse. Negli ultimi decenni il mix energetico cinese è rimasto stabile, con il 90 percento dell’energia derivante da combustibili fossili. La Cina è il paese che consuma al mondo più carbone.
Allo stesso tempo è anche quinto produttore di petrolio, ma non basta. Ha dunque creato un sistema che gli autori americani hanno definito – non senza preoccupazione – «la collana di perle».
Basi militari e commerciali sul proprio paese, Hong Kong e l’isola tropicale di Hainan, nelle zone circostanti, le isole contese del mar cinese del sud (spratley e diaoyu, ecco perché i cinesi tengono così tanto a quelle isole e quelle zone di mare, benché la facciano passare per una questione puramente nazionalista) e poi Cambogia,Thailandia, Myanmar, Sri lanka, Pakistan, Kenya fino al Sud Sudan. Tutto per arrivare a proteggere i propri affari in Medio oriente e Africa, da dove arriva il 70% del petrolio e delle risorse di cui ha bisogno e dove Pechino ha contrattato con qualsiasi regime si sia trovato di fronte.
L’accordo con la Russia era dunque necessario e tutto sommato vede Pechino in posizione vantaggiosa.
E ora? Secondo il Wall Street Journal, «in Asia, un attacco prolungato di tensioni stimolato dall’assertività territoriale della Cina sembra essersi placato. Ora è la Russia ad alzare i toni con il suo intervento in Ucraina e le ambizioni più ampie in Europa. Questo cambiamento sottolinea le personalità, le tattiche e le risorse strategiche distinte in mano a due uomini forti ambiziosi – il cinese Xi Jinping e il russo Vladimir Putin. I due leader hanno molto in comune.
Sono guidati da un profondo senso di orgoglio nazionale ferito e un amaro risentimento verso l’Occidente. La Russia è ancora ossessionata dal crollo dell’Unione Sovietica; i ricordi cinesi restano avvelenati dal “secolo di umiliazione” del paese sotto l’imperialismo. Ogni volta che possono, si alleano diplomaticamente contro l’America. Entrambi si presentano come artefici di una rinascita nazionale che li spinge a rimodellare le periferie dei loro paesi».
Ma secondo il quotidiano, Xi ha un vantaggio: il tempo sarebbe dalla sua parte, mentre Putin dovrà gestire un momento economico particolarmente difficile. E tutto potrebbe cambiare, ancora.
Putin e Xi Jinping: il Wall Street Journal recentemente li ha accostati, cercando di carpirne similitudini e differenze. Ma come si è arrivati a questa situazione di quasi alleanza, dopo l’accordo sul gas e i fatti in Ucraina? Quali sono i motivi di “vicinanza” e quali di attrito e soprattutto qual è la visione futura dei due leader circa il rapporto tra i due paesi?