Martedì scorso Charles Flanagan, Ministro degli Esteri della Repubblica d’Irlanda, ha salutato il nuovo ambasciatore statunitense Kevin O’ Malley auspicando che il coinvolgimento americano nella soluzione del nuovo stallo nella politica nordirlandese continui.

La minaccia più evidente che pende sul processo di pace in Ulster è la crisi economica, il superamento dei problemi sociali che sono tra le basi del conflitto è necessario alla sua risoluzione e quindi in molti sono d’accordo con l’esponente dello Sinn Féin Martin McGuinness (vice primo ministro dell’Irlanda del Nord) che all’inizio della scorsa settimana ha dichiarato: “i tagli al welfare e le misure di austerity del governo britannico stanno creando enormi difficoltà all’amministrazione dell’Ulster.”
Il segretario per l’Irlanda del Nord, Theresa Villiers, intervenendo domenica all’apertura della conferenza dei Conservatori inglesi a Birmingham, ha sottolineato l’importanza del dialogo tra partiti che a Belfast si sono combattuti per decenni e che ora condividono il governo della provincia nordirlandese. Ma l’assemblea di Stormont, sede del governo autonomo della provincia, sta inciampando su un sasso venuto da Londra: duecentoventi milioni di sterline da tagliare nel budget di settori sociali delicatissimi nel quadro della pacificazione.
Non vanno sottovalutati gli ostacoli che forze politiche venute dalle battaglie sulle strade di Belfast trovano nella propria base: ciò vale per i protestanti lealisti che intravvedono in tutte le iniziative di power sharing che coinvolgono la Repubblica d’Irlanda una svendita della propria comunità alla riunificazione con il Sud e vale per i nazionalisti nordirlandesi che individuano nei tagli al sociale un ennesimo colpo sferrato dal capitalismo britannico. Gerry Adams, presidente dello Sinn Féin, ha sottolineato che nel richiedere una contrazione del bilancio i rappresentanti dell’esecutivo britannico non considerano il fatto che la comunità dell’Ulster “esce da un conflitto ed è soprattutto la classe disagiata dei lavoratori che ne ha sofferto di più”.
C’è tensione anche nel Democratic Unionist Party (protestanti filo-britannici), infatti il Primo Ministro Peter Robinson ha dovuto smentire voci di un suo imminente ritiro. Fa parte dell’esecutivo anche lo Sinn Féin (partito repubblicano irlandese), nel difficile equilibrio voluto da Repubblica d’Irlanda e Regno Unito per colmare le divisioni. La scomparsa dei leader storici che hanno traghettato i gruppi più riluttanti attraverso il processo di pace ne mette a rischio gli esiti, sebbene questi leader fossero rimasti, nelle prime fasi degli accordi, i più accaniti avversari della distensione.
Un esempio dell’arduo percorso affrontato dai protagonisti di scontri e tregue che hanno scandito gli accordi tra le due parti si può trovare nella vicenda politica di Ian Paisley, morto lo scorso 12 settembre all’età di ottantotto anni: nel 1998 si oppose all’Accordo del Venerdì Santo, che prevedeva l’attuale assetto istituzionale di coabitazione governativa e nel 2003 superò col suo Democratic Unionist Party quello che era stato il maggiore alfiere del lealismo filobritannico, l’Ulster Unionist Party, da allora percepito da molti come troppo arrendevole verso i repubblicani, ma dopo che l’Irish Republican Army ebbe effettuato il disarmo del 2005 lo stesso Paisley portò il DUP al governo assieme agli avversari storici dello Sinn Fein, all’UUP protestante ed al Social Democratic and Labour Party cattolico.
Un esito, quello concretizzatosi con la formazione dell’esecutivo del 2007, incredibile se si guarda al passato dell’Ulster ed alle terribili responsabilità dello stesso Paisley nelle violenze settarie e discriminatorie avvenute ai danni dei repubblicani irlandesi. Nel 1971 il pastore protestante portò i lealisti filobritannici più intransigenti fuori dall’Uup, formando il Dup, che sebbene organizzato nelle strade rimase per tre decenni in minoranza nel campo lealista rispetto all’Ulster Unionist Party, indebolito però dopo l’accordo del 1998 dalla la fuoriuscita di altri intransigenti. Ian Paisley ebbe pesanti responsabilità nel clima anticattolico di alcuni settori della popolazione filobritannica e come pastore della “Chiesa Libera Presbiteriana” da lui fondata nel 1951, attaccò violentemente la Chiesa cattolica.
Alla fine, nel 2007 il pastore estremista accettò la necessità di un passo verso la distensione, presiedendo, quale rappresentante del partito di maggioranza dell’Ulster, un governo di coabitazione con le altre forze, ma una volta usata la sua autorità presso la comunità di appartenenza per portarla al tavolo con gli avversari, già nel 2008 lasciò il ruolo a Peter Robinson, il suo vice: forse era consapevole che la propria storia era poco compatibile con la nuova cooperazione, resa oggi ancora più difficile dalla crisi economica.
Martedì scorso Charles Flanagan, Ministro degli Esteri della Repubblica d’Irlanda, ha salutato il nuovo ambasciatore statunitense Kevin O’ Malley auspicando che il coinvolgimento americano nella soluzione del nuovo stallo nella politica nordirlandese continui.