Secondo il calendario pubblicato dal Consiglio Elettorale Nazionale dell’Etiopia, il prossimo 24 maggio, il Paese andrà alle urne per eleggere un nuovo governo. Queste saranno le quinte elezioni che si terranno dopo la caduta del regime militare del DERG e l’adozione di una nuova costituzione nell’agosto 1995.
Il grande favorito è il Fronte rivoluzionario e democratico del popolo etiope (EPRDF), guidato dal primo ministro uscente Hailemariam Desalegn, che si è aggiudicato la vittoria nelle quattro precedenti tornate. Fin dalle prime battute della campagna elettorale, cominciata ufficialmente lo scorso 14 febbraio, L’EPRDF sta dimostrando la sua intenzione di voler continuare a dirigere le sorti dello Stato africano senza incontrare alcun tipo di resistenza o contestazione.
Nelle elezioni del 2005, gli scontri con gli oppositori provocarono circa duecento vittime; mentre nel 2010 gli osservatori europei mossero accuse di massicci brogli, in particolare nelle zone di campagna, dove furono riferite intimidazioni e numerosi casi di violenza: i più gravi nelle regioni di Ogaden e Tigrè, con un bilancio di tredici morti.
La situazione attuale non sembra diversa, poiché con l’avvicinarsi della scadenza del 24 maggio si fa sempre più forte la repressione che l’esecutivo etiope sta attuando nei confronti del dissenso. Le vittime principali sono gli esponenti del partito d’opposizione Semayawi e il gruppo di attivisti e blogger del collettivo “Zone9”, che negli ultimi mesi sono stati oggetto di perquisizioni e arresti.
Il rapporto dl Human Rights Watch
Difatti, è soprattutto attraverso il controllo dell’informazione che si manifesta la repressione attuata dal regime autoritario. Lo segnala Human Rights Watch in un rapporto pubblicato lo scorso 20 gennaio, che rivela come il governo di Addis Abeba abbia vessato il giornalismo indipendente dal 2010 ad oggi.
Nel report intitolato “Il giornalismo non è un crimine: violazioni della libertà dei media in Etiopia” è rilevato che solo l’anno scorso sei pubblicazioni di editori privati sono state chiuse, dopo intimidazioni da parte del governo; almeno ventidue giornalisti, blogger, editori sono stati perseguiti penalmente e più di trenta giornalisti hanno lasciato il loro Paese per paura di essere arrestati, sotto il peso di leggi repressive.
Secondo Leslie Lefkow, vice direttore per l’Africa di Human Rights Watch, “i media etiopi dovrebbero giocare un ruolo cruciale nelle elezioni di maggio, ma la maggior parte della stampa, della televisione, delle stazioni radiofoniche del Paese sono controllate dal governo e le poche voci appartenenti ad editori privati spesso si autocensurano, specie su questioni politicamente sensibili, per paura di ritorsioni o arresti”.
L’EPRDF controlla anche la radio grazie alla tecnica del jamming. Uno strumento di censura usato durante gli anni della Guerra Fredda che rende possibile bersagliare le frequenze di un determinato programma radiofonico, causando la sua indisponibilità di fruizione.
Sempre secondo Human Rights Watch, il governo etiope lo utilizzerebbe per disturbare l’informazione trasmessa dalle stazioni radio degli esuli etiopici, tra cui ESAT Radio, un’emittente indipendente che trasmette dall’Olanda e che dà voce agli esponenti dell’opposizione governativa.
Che in Etiopia siano in atto politiche repressive e processi di censura è testimoniato anche dalla posizione che il Paese africano occupa nel Democracy Index, pubblicato dall’Economist Intelligence Unit alla fine del 2014, che lo inserisce tra i regimi autoritari.
La crescita economica e le aspirazioni di Addis Abeba
Nel contesto repressivo c’è comunque da rilevare che il lungo corso dell’EPRDF, sebbene abbia stretto il Paese nella morsa di una politica di regime, ne ha favorito lo sviluppo economico.
In un interessante reportage sull’Etiopia, pubblicato lo scorso agosto sul Corriere della Sera, il ministro dell’Industria di Addis Abeba, Sisay Gemechu Edu, rivendicava la crescita a due cifre del suo Paese (con una media del 10,6%, tra il 2004 e il 2011) e l’ambizione di trasformarla entro il 2025 in un “middle income country”.
Le premesse per realizzare le aspirazioni del giovane ministro Edu non sembrano mancare: l’Etiopia è la quinta economia sub-sahariana e rappresenta un punto focale di interesse per i sistemi produttivi emergenti, come testimoniano le varie delegazioni di investitori stranieri in cerca di opportunità nel più grande Paese del continente senza sbocco sul mare.
Secondo le ultime stime del ministero delle Finanze etiope, la crescita economica dello stato dell’Africa orientale è proiettata al 11% annuo, grazie soprattutto alla conclusione del piano quinquennale di sviluppo economico, sociale e ambientale, varato da Addis Abeba nel 2010.
Le dichiarazioni dell’esecutivo sulle future previsioni di tassi di crescita superiori al 10% vengono però ridimensionate dai dati aggiornati della Banca Mondiale, che valutano un tasso di crescita del PIL etiope pari al 6,9% per l’anno in corso, superiore comunque alla media dell’Africa Sub-Sahariana (stimata al 4,6% per il 2015). Inoltre, le stime dell’Istituto di Washington confermano un’evoluzione in negativo del PIL etiope, corrispondente al 6,6% per il 2016 e al 6,7% per il 2017.
Nel complesso, però, i dati macroeconomici più significativi dell’economia etiopica sono decisamente superiori alla media africana e lo sforzo del Paese per raggiungere importanti obiettivi di modernizzazione e crescita è stato premiato dall’abbattimento della percentuale di popolazione che vive sotto la soglia di povertà (scesa dal 38,9% al 29,6%, pur in un quadro di forte crescita demografica) e nella drastica riduzione della mortalità infantile al di sotto dei 5 anni di età (scesa dal 70% del 2005 al 44% del 2014).
In questo modo, le carestie degli anni ottanta che uccisero più di un milione di persone sembrano ormai solo un brutto ricordo, mente l’Etiopia sta diventando una terra di grandi opportunità per gli investitori in tanti settori, specialmente in quello infrastrutturale.
I piani per costruire un aeroporto grande come Heathrow
Un altro comparto su cui sta puntando il Paese del Corno d’Africa è quello manifatturiero, soprattutto per quanto riguarda l’industria tessile su cui sta operando massicci investimenti, come provano gli stabilimenti che il governo ha costruito nella zona industriale di Bole Lami.
La stessa area in cui sorge l’aeroporto internazionale di Addis Abeba, dove stanno per essere completati i lavori di potenziamento, cominciati lo scorso settembre, per i quali la China Communication Construction Company ha firmato un contratto di 300 milioni di dollari con il governo etiope.
L’ampliamento del principale scalo aeroportuale della nazione africana si è reso necessario per l’elevato aumento del traffico, che, secondo Global Construction Review (GCR), in meno di un decennio è cresciuto da 950mila a sette milioni di passeggeri l’anno.
I lavori di espansione consentiranno di aumentare la capacità dell’aeroporto a circa venti milioni di passeggeri, mentre per far fronte al previsto incremento del 18% annuo di traffico, è in cantiere un progetto per costruire un altro aeroporto internazionale in Etiopia, che potrebbe servire settanta milioni di passeggeri l’anno, un volume di traffico quasi equivalente a quello di Heathrow.
E’ quindi innegabile che l’Etiopia abbia avviato un importante processo di trasformazione, ma per realizzare le ambiziose aspirazioni di crescita, il nuovo governo dovrà segnare un cambiamento di rotta, attraverso un programma di riforme istituzionali e giuridiche, sostenuto da un significativo cambiamento culturale nella governance. Ma soprattutto dovrà rivedere le sue posizioni in materia di libertà di espressione.
@afrofocus
Il grande favorito è il Fronte rivoluzionario e democratico del popolo etiope (EPRDF), guidato dal primo ministro uscente Hailemariam Desalegn, che si è aggiudicato la vittoria nelle quattro precedenti tornate. Fin dalle prime battute della campagna elettorale, cominciata ufficialmente lo scorso 14 febbraio, L’EPRDF sta dimostrando la sua intenzione di voler continuare a dirigere le sorti dello Stato africano senza incontrare alcun tipo di resistenza o contestazione.
Nelle elezioni del 2005, gli scontri con gli oppositori provocarono circa duecento vittime; mentre nel 2010 gli osservatori europei mossero accuse di massicci brogli, in particolare nelle zone di campagna, dove furono riferite intimidazioni e numerosi casi di violenza: i più gravi nelle regioni di Ogaden e Tigrè, con un bilancio di tredici morti.
La situazione attuale non sembra diversa, poiché con l’avvicinarsi della scadenza del 24 maggio si fa sempre più forte la repressione che l’esecutivo etiope sta attuando nei confronti del dissenso. Le vittime principali sono gli esponenti del partito d’opposizione Semayawi e il gruppo di attivisti e blogger del collettivo “Zone9”, che negli ultimi mesi sono stati oggetto di perquisizioni e arresti.