Per il portavoce cinese la politica americana di restrizione all’export verso aziende cinesi come Huawei o SMIC potrebbe sfociare in un conflitto, anche se Blinken precisa che gli Stati Uniti non vogliono una “nuova Guerra fredda”
Il portavoce del Ministero degli Esteri della Cina, Zhao Lijian, ha accusato gli Stati Uniti di stare allargando eccessivamente il concetto di sicurezza nazionale e di volere così privare Pechino “del suo diritto allo sviluppo”. Si riferiva alle restrizioni alle esportazioni imposte da Washington alle aziende americane nei confronti di alcune compagnie cinesi che operano in settori strategici, come Huawei (telecomunicazioni) o SMIC (chip).
La settimana scorsa la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha annunciato che gli Stati Uniti stanno valutando l’inserimento di ulteriori società cinesi nella entity list: si tratta di un elenco di soggetti stranieri – aziende, appunto, o enti di ricerca – considerati pericolosi per la sicurezza nazionale, magari perché vincolati alle forze armate di un governo ostile, e pertanto sottoposti a restrizioni di natura commerciale. Chi finisce sulla lista, dunque, non può più avere libero accesso a tecnologie o componentistica di sviluppo americano.
È un tema, questo del contrasto del trasferimento di know-how statunitense a società cinesi, che la Casa Bianca prende molto sul serio. Ad esempio il mese scorso il Dipartimento del Commercio ha aperto un’indagine contro Synopsys, un’azienda californiana che sviluppa software per la progettazione di semiconduttori, sospettata di aver fornito tecnologie chiave a due compagnie cinesi messe al bando.
Da Pechino fanno sapere di recepire queste mosse come dei sabotaggi al proprio sviluppo economico. Il portavoce Zhao ha descritto uno scenario molto cupo, dicendo che la strategia americana finirà col condurre gli Stati Uniti e la Cina “al confronto e al conflitto”. I due termini sembrano richiamare la strategia dell’amministrazione di Joe Biden sulla Cina, esposta a fine maggio dal segretario di stato Antony Blinken: è un approccio molto focalizzato sulla competizione economica (su chi, tra le due, avrà l’economia più ricca e innovativa) e sui valori alla base dell’ordine mondiale (democrazia contro autocrazia), e meno incentrato sullo scontro militare (impossibile da escludere, tuttavia).
Blinken precisa che Washington non vuole una “nuova Guerra fredda”, anche perché il fenomeno non potrebbe ripetersi uguale: l’interdipendenza economica tra l’America e l’Unione sovietica era inesistente, mentre quella tra America e Cina è profonda; le due nazioni, oltre che rivali, sono grandi socie commerciali. Pechino, tuttavia, vede nei piani di Washington per il distacco delle filiere critiche dalla Cina un mezzo di contenimento della propria ascesa.
La settimana scorsa la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha annunciato che gli Stati Uniti stanno valutando l’inserimento di ulteriori società cinesi nella entity list: si tratta di un elenco di soggetti stranieri – aziende, appunto, o enti di ricerca – considerati pericolosi per la sicurezza nazionale, magari perché vincolati alle forze armate di un governo ostile, e pertanto sottoposti a restrizioni di natura commerciale. Chi finisce sulla lista, dunque, non può più avere libero accesso a tecnologie o componentistica di sviluppo americano.