
Gli ingenti investimenti cinesi in Russia sostituiscono quelli europei.
La Russia inizia a vedere gli effetti delle sanzioni statunitensi ed europee, ma ha una stampella significativa, quella della Cina. Fra Pechino e Mosca le relazioni sono sempre più intense. Le banche cinesi aprono filiali a Mosca e dintorni, la Russia vende milioni di metri cubi di gas naturale alla Cina e gli investimenti diretti provenienti da Pechino non sono mai stati così elevati. Il risultato è desolante per Bruxelles e Washington: le sanzioni economiche sono aggirate da più parti.
Un anno fa, a Kiev si combatteva per l’ammissione nell’Unione europea. Le proteste di piazza raggiunsero livelli tali da costringere l’Ue e gli Stati Uniti d’America a intervenire sul fronte diplomatico. L’escalation della crisi ucraina portò all’istituzione di un referendum in Crimea volto alla secessione della regione verso la Russia. E portò anche ai primi round di sanzioni verso Mosca. Prima con un atteggiamento guardingo da parte di Bruxelles, complice la rete commerciale fra Russia e Ue, poi con vigore lievemente maggiore. Sanzioni che hanno colpito l’entourage del presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, e i principali esponenti della Duma, il parlamento russo. Anche gli Usa usarono il pugno di ferro, nel tentativo di risolvere un fronte di crisi, quello ucraino, che pareva senza controllo. E a ben guardare, ancora oggi è così.
L’impatto delle sanzioni economiche contro la Russia è stato significativo, ma c’è stato uno sviluppo che, se confermato, potrebbe vanificarle fino a renderle inutili. Secondo i database della banca centrale russa, la Cina sta prendendo il posto dell’Ue nel campo degli investimenti diretti esteri. Nei primi tre mesi dell’anno in corso, l’ultimo delta temporale esistente, gli investimenti diretti dell’Ue sono stati pari a circa 2,9 miliardi di dollari, due dei quali provenienti dall’eurozona. In sostanza, si è verificato un calo del 63% su base annua. È il frutto delle restrizioni dovute alle sanzioni.
In compenso, nel primo trimestre 2014, gli investimenti diretti provenienti dall’Asia hanno registrato un aumento del 560%, fino a toccare quota 1,2 miliardi di dollari. La maggior parte di essi, un miliardo di dollari, proviene dalla Cina. Se è vero che Pechino ha sottoscritto un rilevante accordo commerciale con Mosca per la fornitura di gas, per un controvalore di 400 miliardi di dollari, è altrettanto vero che i rapporti fra le due nazioni si stanno intensificando. Il 10 novembre scorso il Presidente della Federazione russa e il Presidente cinese Xi Jinping, proprio alla vigilia della visita del Presidente Usa Barack Obama a Pechino, hanno siglato altri accordi commerciali. Uno dei maggiori produttori di gas naturale della Russia, Rosneft, ha venduto a China National Petroleum Corporation il 10% delle azioni della sua controllata in Siberia, mentre Gazprom ha negoziato una fornitura trentennale di gas, circa 30 miliardi di metri cubi, dalla Siberia occidentale verso la Cina.
L’obiettivo è quello di creare canali paralleli a quelli europei per la distribuzione del gas naturale. Come ha spiegato Gazprom, “si tratta del primo di una serie di diversi accordi che, secondo le previsioni, aumenteranno l’export russo in modo significativo”. In altre parole, un modo legale per aggirare le sanzioni europee e statunitensi. “A noi sta a cuore l’interesse nazionale. Siamo alle porte dell’autunno e dobbiamo tenerne conto”, ha commentato Jinping, cercando di fugare le tesi di chi ipotizzava interessi politici dietro alla scelta di utilizzare il gas russo. Un tentativo mal riuscito.
Tuttavia, l’interesse della Cina all’intensificazione delle relazioni commerciali con la Russia va ben oltre il gas. Analizzando i database della banca centrale della Federazione russa, emerge che le banche cinesi stanno supportando quelle russe. In particolare, i prestiti delle istituzioni creditizie cinesi verso il settore privato (società non finanziarie e famiglie) russo, nel solo primo trimestre 2014, hanno toccato quota 13 miliardi di dollari. Una cifra quasi pari al doppio dell’intero totale erogato nel 2013, circa 7,5 miliardi di dollari, che è destinata ad aumentare.
Secondo quanto riporta un’analisi dello scorso settembre della banca anglo-asiatica HSBC, “le banche cinesi stanno aprendo sempre più filiali in Russia, permettendo così ai soggetti sanzionati di avere un livello di credito pari a quello che avevano prima del giro di vite di Ue e Usa”. Non è chiaro il numero complessivo delle nuove filiali presenti nella Federazione russa ma HSBC ritiene che nel 2014 possano aumentare del 12%.
Gli accordi fra Pechino e Mosca non si fermeranno qui. Ne è convinta la banca nipponica Nomura. In un lungo report sulla Russia, ha calcolato che il gas russo potrà soddisfare il 17% delle esigenze cinesi a partire dal 2020, una volta a regime. In termini assoluti, dal 2020 la Russia soddisferà il 10% dell’intero fabbisogno energetico della Cina, contro l’attuale 6%, secondo i dati della National Development and Reform Commission, l’organismo di pianificazione economica cinese. Del resto, la Cina importerà oltre 38 miliardi di metri cubi di gas naturale russo, nel corso di trent’anni, a partire dal 2018. Oltre al gas, la Russia potrebbe presto cedere alla Cina le concessioni per costruzioni commerciali e non sul proprio territorio, come spiegano fonti diplomatiche russe.
Se così fosse, l’incremento degli investimenti diretti esteri potrebbe essere ancora maggiore di quello che si è verificato nel primo trimestre dell’anno. È vero che tre soli mesi non sono sufficienti a confermare la presenza di un trend, è altrettanto vero che gli accordi commerciali esistenti e in fase di negoziazione non sono da sottovalutare.
Tanto basta per affermare che sia Bruxelles sia Washington dovrebbero iniziare a temere la squadra composta da Mosca e Pechino.
Gli ingenti investimenti cinesi in Russia sostituiscono quelli europei.