La Nuova Via della Seta destinata a congiungere Asia ed Europa tramite nuove rotte e investimenti incontra i primi ostacoli: il Pakistan ha cancellato un progetto da 14 miliardi di dollari. E anche il Nepal si è ritirato da un accordo. Portare avanti il sogno di Xi non sarà facile
Quando Xi Jinping lanciò l’idea di Nuova Via della Seta nel 2013, in Kazakistan, cominciarono a prendere corpo le rotte commerciali immaginate: tanto quelle terresti, quanto quelle marittime. Il piano è risaputo: la Cina vuole congiungere Asia a Europa attraverso Asia Centrale, Medio Oriente (e Africa) tramite nuove rotte frutto di nodi creati dalla partecipazione economica (investimenti) della Cina in accordo con i Paesi attraversati da questi corridoi.
Si tratta di un’idea gigantesca dalla realizzazione non semplice ma sulla quale la Cina fin dal 2013 ha riservato tutte le energie possibili, attivando anche strumenti finanziari ad hoc come un fondo per la Nuova Via della Seta e una nuova banca per investimenti e infrastrutture a guida cinese (la Aiib della quale sono “soci” anche molti Paesi europei, Italia compresa).
Analogamente ai piani di grandezza, fu da subito molto chiaro che il maestoso progetto avrebbe potuto incontrare problemi di diversi tipi: in primis di natura strategico- economica perché in alcune zone la Cina avrebbe voluto imporre le proprie condizioni per opere di infrastrutture. Altri problemi sarebbero arrivati dai rischi geopolitici, a causa di territori attraversati da scontri etnici capaci di modificare lo sviluppo delle condizioni necessarie richieste da Pechino per attuare i suoi piani.
Rischi conosciuti, tanto che in Cina da tempo si parla di esborsi economici e mancati ritorni e pare che tutto sia “sotto controllo”. Sarà, ma intanto secondo indiscrezioni uscite negli ultimi anni Pechino sarebbe quasi certa di perdere l’80% dei propri investimenti in Pakistan, il 50% in Myanmar e ben il 30% nell’Asia centrale.
Non a caso, dunque, tutto questo movimento apparentemente contrario all’idea di Xi Jinping, è partito proprio dal Pakistan, uno degli “snodi” considerati più a rischio, un po’ per le condizioni del Paese, un po’ per le sicure ingerenze indiane che male hanno visto l’adesione entusiasta tanto di Pakistan quanto di Nepal all’idea cinese. E non è un caso dunque che i primi segnali negativi per Pechino arrivino da questi due Paesi.
Nelle settimane scorse Islamabad ha deciso di cancellare un accordo da 14 miliardi di dollari legato alla diga Diamer-Bhasha. La motivazione ufficiale accusa la Cina di aver posto condizioni eccessivamente rigide. È che per Pechino quella diga ricopriva un’importanza fondamentale nell’idea di aprire il “corridoio economico cinese-pakistano”.
A quanto è stato comunicato, in ogni caso, si andrà avanti perché il Pakistan avrebbe deciso di finanziare il progetto, che genererà 4.500 megawatt di energia idroelettrica.
Qualche giorno prima della decisione del Pakistan, era stato il Nepal a tirarsi indietro da un accordo da 2,5 miliardi di dollari. In questo caso il progetto era legato a un un impianto idroelettrico. Il governo del Nepal doveva costruire la diga del progetto idroelettrico di Budhigandaki con la compagnia statale cinese China Gezhouba Group. L’accordo è stato rifiutato perché secondo le autorità l’appalto era stato affidato senza una gara vera e propria e quindi era stato assegnato in modo contrario alla legge.
È chiaro che siamo di fronte a scuse di natura esclusivamente politica e strategica che rendono ben chiaro a Pechino quanto sarà difficile andare avanti nella propria strada, composta di accordi bilaterali con i singoli Paesi, in modo da imporre la propria forza contrattuale garantita dalla liquidità, ben nota, delle aziende cinesi.
Come ha spiegato sul South China Morning Post un ex negoziatore della Banca mondiale Peter Guy (che ha partecipato anche alle diligence sui progetti di finanziamento in questione) «I due principali progetti dell’area sono stati cancellati in una sola settimana, in entrambi i casi perché i termini non erano considerati equi dal Paese destinatario. E questo inevitabilmente solleva anche questioni sulla redditività commerciale e sulla credibilità finanziaria di alcuni altri progetti».
Pechino dunque incontra i primi problemi: la piena trasparenza – «attraverso gare pubbliche» – e la qualità delle apparecchiature cinesi utilizzate potrebbero presto diventare una questione seria. Così come, sottolinea Peter Guy, lo sarà «l’arrivo di decine di migliaia di lavoratori cinesi per l’installazione di attrezzature» perché finirà per creare, come accaduto già in Africa, problemi con le popolazioni locali.
La Via della Seta è linea guida per Pechino, dunque, ma non è detto che lo diventerà per tutti i Paesi che la Cina vuole tirare dentro al suo «sogno».
@simopieranni
La Nuova Via della Seta destinata a congiungere Asia ed Europa tramite nuove rotte e investimenti incontra i primi ostacoli: il Pakistan ha cancellato un progetto da 14 miliardi di dollari. E anche il Nepal si è ritirato da un accordo. Portare avanti il sogno di Xi non sarà facile