La tensione è altissima in Pakistan dopo l’assoluzione della bracciante cristiana, già condannata a morte per blasfemia. Il governo prova a blindare le città. E per il premier Khan si avvicina la rottura con i radicali. Ma ora potrebbero moltiplicarsi i casi di giustizia sommaria
Asia Bibi è libera. Dopo otto anni in prigione, trascorsi sopportando un’ingiusta condanna a morte per il reato di blasfemia, mercoledì mattina la Corte Suprema di Islamabad ha prosciolto la 47enne cattolica del Punjab. Asia Bibi è stata scarcerata poche ore dopo la decisione dei tre giudici. Poi scortata in un luogo sicuro dove attende di essere trasferita all’estero e di riunirsi al marito e ai cinque figli. In contemporanea, migliaia di manifestanti contrari all’assoluzione hanno bloccato le strade delle principali città del Pakistan. Per evitare il dilagare delle proteste e lo scoppio di violenze, il governo ha schierato ingenti forze di sicurezza, vietando gli assembramenti in pubblico. Il Primo ministro Imran Khan ha difeso senza riserve la scelta dei giudici, accettando un compromesso che sembra allontanarlo dall’intransigenza della campagna elettorale.
Dopo tre settimane di rinvii per scongiurare il “blocco del Paese” annunciato dalle organizzazioni islamiste, mercoledì mattina la Corte Suprema ha ufficializzato un verdetto storico, annullando per la prima volta una condanna a morte per blasfemia. Non è un caso se la decisione ha scagionato proprio Asia Bibi, la prima donna non musulmana ad essere destinata alla pena capitale in base alla Sezione 295-C del Codice penale pachistano, per offese dirette al Profeta Maometto.
La sentenza, del novembre 2010, riferiva a quanto accaduto ad agosto 2009 nelle campagne del Punjab, dove Asia Bibi affiancava un gruppo di contadine musulmane. Qui, secondo l’accusa, la bracciante cristiana avrebbe offeso il Profeta durante un diverbio con le compagne di lavoro, iniziato quando Asia Bibi ha “contaminato” l’acqua destinata alle donne musulmane, prendendo un bicchiere per sé. È stato l’incipit di una lunga vicenda giudiziaria, passata dalle aule dei tribunali agli uffici delle organizzazioni per i diritti umani, pachistane e internazionali, convinte dell’innocenza della bracciante cattolica. Il punto sulla vicenda è stato messo mercoledì, dai tre giudici della Corte Suprema.
Dopo l’inizio delle proteste, Imran Khan è apparso in televisione invitando i cittadini a rimanere in casa. «Ritiratevi dalle strade o lo Stato interverrà in modo diretto», ha dichiarato, definendo le manifestazioni «una reazione disgustosa». Messaggio indirizzato agli irriducibili che da settimane annunciavano il blocco del Paese, a partire dal Tehreek-e-Labbaik Pakistan (Tlp), formazione politica capace in pochi mesi di ottenere ampi consensi puntando sull’affermazione della legge contro la blasfemia. Proprio da uno dei leader del Tlp, Afzal Qadri, sono giunte le minacce più esplicite ai giudici della Corte Suprema. «Meritano di essere uccisi», ha chiosato Qadri, invitando gli uomini delle forze di sicurezza a ribellarsi, colpendo «i governanti favorevoli» alla sentenza.
Oltre a proteste e minacce, non sono mancate le richieste di annullare l’assoluzione. Ieri, Qari Salam, l’uomo che aveva depositato presso un tribunale del Punjab il caso contro Asia Bibi, ha sottoscritto una richiesta di revisione presso la Corte Suprema. Poche ore prima i delegati del Milli Yekjehti Council (Alleanza nazionale per l’armonia religiosa) avevano chiesto l’inserimento de nome della donna cristiana nella Exit Control List, per impedirle di lasciare il Paese.
Il caso Asia Bibi potrebbe ora imporre una svolta alla linea di Imran Khan. Malgrado la vicinanza ad alcuni movimenti islamisti pachistani, pur avendo sempre sostenuto la legge sulla blasfemia, il Primo ministro si è schierato apertamente in difesa della sentenza della Corte Suprema. Scelta apprezzata dai moderati, ma criticata dalle frange più radicali dei suoi sostenitori, Tlp incluso, che accusano Khan di non mantenere le promesse, tra tutte la creazione di uno “Stato sociale islamico” in Pakistan.
Se la sentenza di mercoledì rappresenta un passo in avanti, rischia ora di moltiplicare i casi di giustizia sommaria. Le condanne previste per i casi di blasfemia sono la pena capitale o il carcere a vita. Ad oggi però, in Pakistan non è mai avvenuta alcuna esecuzione, destando da tempo il disappunto di quanti vorrebbero far rispettare la legge fino in fondo. Da quanto si apprende dai media pachistani, il precedente storico portato dalla liberazione di Asia Bibi potrebbe indurre i gruppi islamisti a preferire la giustizia diretta, sostituendosi all’inconcludenza dei tribunali. Scenario giustificato dai toni violenti assunti dalle proteste in corso, e dalle 65 persone assassinate dal 1990 ad oggi, perché ritenute colpevoli di reati contro l’Islam.
Sorte toccata anche ai detrattori della legge o a chi ha chiesto la scarcerazione di condannati. Eclatante il caso di Salmaan Taseer, governatore del Punjab, assassinato nel 2011 dalla sua guardia del corpo per aver fatto visita in carcere ad Asia Bibi, sostenendo la sua innocenza. Destino toccato pochi mesi dopo al ministro per le Minoranze, il cristiano Shahbaz Bhatti, ucciso da un commando di Talebani per aver proposto di riformare la legge.
Introdotta nel 1860 dal Raj britannico e irrigidita nel 1980 durante il regime del generale Zia ul-Haq, la legge sulla blasfemia è da sempre dibattuta per l’estrema severità. I detrattori criticano in particolare la parzialità di trattamento riservata ai non musulmani, e per essere usata come strumento di offesa contro personaggi scomodi, inclusi i giornalisti “laici”, o per risolvere dispute personali anche futili, come accaduto ad Asia Bibi. L’importanza attribuita alla legge dalle influenti organizzazioni che la sostengono ha creato un clima di insicurezza diffusa, tale da impedire a molti giudici dei tribunali locali di assolvere gli imputati, temendo ripercussioni personali.
Destino promesso ora ai tre funzionari della Corte Suprema, da mercoledì esiliati in una zona protetta della capitale, presidiata dalle forze di polizia, costrette a richiamare la sessione 144 del Codice di procedura criminale che vieta assembramenti superiori alle quattro persone. Oltre ai divieti, un cordone di 300 agenti è stato schierato all’esterno della Corte Suprema, mentre truppe paramilitari controllano i quartieri diplomatici per prevenire sommosse. Intanto, l’occupazione delle strade ha bloccato la viabilità a Islamabad, Lahore, Peshawar, Faisalabad e Karachi, cui si aggiungono molti centri abitati delle zone rurali del Pakistan. A Lahore la polizia è stata colpita dal lancio di sassi. La tensione nel Paese continua ad aumentare e non si escludono rappresaglie verso le minoranze religiose, a partire dalla comunità cristiana cui appartiene Asia Bibi.
@EmaConfortin
La tensione è altissima in Pakistan dopo l’assoluzione della bracciante cristiana, già condannata a morte per blasfemia. Il governo prova a blindare le città. E per il premier Khan si avvicina la rottura con i radicali. Ma ora potrebbero moltiplicarsi i casi di giustizia sommaria