L’ennesimo segnale negativo per l’economia del Sudafrica è giunto la scorsa settimana dal Fondo monetario internazionale (FMI), che ha quasi dimezzato la previsione di crescita economica per il Paese, riducendola dall’1,3% di ottobre, allo 0,7%. Un dato allarmante, che corrisponde a un punto percentuale in meno al tasso d’incremento della crescita previsto dalla Tesoreria dello Stato per l’anno in corso.
Il rallentamento allo 0,7% significa anche minori opportunità di lavoro per gli oltre 8,4 milioni di disoccupati sudafricani, molti dei quali hanno da tempo rinunciato alla ricerca di un impiego. Inoltre, il FMI ha pure rivisto all’1,8% la proiezione di crescita economica sudafricana per il 2017, rispetto al 2,1% stimato a ottobre.
I fattori, che hanno indotto l’istituto di Washington al rivedere al ribasso le proiezioni di crescita del Sudafrica, sono il crollo dei prezzi delle materie prime, fonte principale degli introiti per le casse statali, e il peggioramento del livello del debito pubblico, aumentato di quasi il 50% del PIL, rispetto al 26% del 2009, anno in cui l’attuale presidente Jacob Zuma venne eletto.
D’altra parte, non è un mistero che la seconda economia del continente africano stia fronteggiando una crisi economica e finanziaria senza precedenti.
Una crisi che negli ultimi mesi ha decimato il valore del rand e trascinato il Paese africano sull’orlo della recessione, che aveva già sfiorato nel terzo trimestre, penalizzato dalla carenza di elettricità, dalla debole domanda globale, del calo dei prezzi delle commodity e dalla siccità.
In tutto questo, gli investitori stanno perdendo la fiducia nella capacità del governo sudafricano di fermare la caduta, mentre è sempre più evidente che Pretoria sta esaurendo tutte le opzioni per arginare la grave crisi.
Secondo gli ultimi dati resi noti dall’Istituto di statistica sudafricano, nello scorso novembre la produzione industriale è scesa dell’1% rispetto al 2014, mentre quella del settore manifatturiero è diminuita per otto dei primi undici mesi del 2015.
Per di più, le proiezioni della South African Reserve Bank, la banca centrale, indicano che nel 2015 l’economia è cresciuta dell’1,4%, il tasso più basso registrato dalla recessione del 2009.
Il declassamento del rating
Oltre a tutto questo, un’altra incognita pende sul travagliato scenario economico sudafricano: il rischio di declassamento del rating di credito a livello “spazzatura”.
Un’ipotesi che appare sempre più probabile, dopo che il mese scorso, l’agenzia Standard & Poor’s ha rivisto l’outlook del rating BBB del credito sudafricano da stabile a negativo, considerando la possibilità di declassarlo ulteriormente nel breve termine. Lo stesso rating è assegnato anche da Fitch, ma con outlook stabile. Moody’s invece valuta il debito sovrano sudafricano superiore di un livello, Baa2.
Da parte sua, il presidente Zuma ha alimentato le preoccupazioni degli investitori con una politica alquanto improvvisata, come dimostra quanto accaduto lo scorso 9 dicembre, quando ha inaspettatamente rimosso dall’incarico il ministro delle Finanze Nhlanhla Nene, sostituendolo con David van Rooyen, un politico poco conosciuto, già sindaco della città di Merafong, nel nord-ovest del paese.
Salvo poi tornare sui suoi passi e assegnare l’incarico al 66enne Pravin Ghordian, conosciuto ai mercati internazionali anche per aver guidato, dal 2009 al maggio 2014,lo strategico dicastero delle Finanze.
Il crollo del rand
Nei due giorni successivi all’allontanamento di Nene, il rand era crollato del 9,1%, segnando il record negativo dell’epoca (16,0543 sul dollaro), mentre l’indice di borsa di riferimento aveva perso 170 miliardi di rand (dieci miliardi di dollari) e i rendimenti dei titoli decennali erano scesi in un colpo solo di oltre 100 punti base.
Poi, lunedì scorso la divisa sudafricana ha registrato un ulteriore picco negativo (17,9169 sul dollaro) precipitando del 9% dalla settimana precedente, il crollo più alto dal 2008 e il più cospicuo registrato da Bloomberg tra i mercati emergenti e le valute più importanti.
Tutto questo, mentre le turbolenze sul mercato cinese e il calo nel mercato azionario statunitense frenavano gli investitori, ormai sempre più convinti che nella riunione del prossimo 28 gennaio, la banca centrale aumenterà il tasso di interesse di almeno 25 punti base, per salvaguardare gli obiettivi dell’intervallo d’inflazione.
A completare il quadro, l’analisi economica della banca d’investimenti Renaissance Capital (RenCap), che ipotizza come l’economia sudafricana sia prossima a cedere all’Egitto, il posto della seconda più grande economia dell’Africa.
Le prospettive economiche della nazione arcobaleno sono ancora più deludenti se confrontate con il resto del continente, dove quest’anno la maggior parte dei Paesi africani registrerà una crescita del PIL di oltre il 4%, mentre nella migliore delle ipotesi la performance sudafricana non supererà l’1,5%.