Sakar Galil è una ragazza musulmana di 24 anni, nata e cresciuta a Kirkuk, città oggetto di contesa tra il governo curdo e quello iracheno. Qui, sulla via che da Erbil porta a Baghdad il cielo della torrida estate mediorientale è striato dalle colonne di fumo sputate in aria giorno e notte dai pozzi petroliferi in funzione. È questa un’area strategicamente importante, ricca di acqua, di terreni coltivabili e di risorse, oro nero incluso, dove da sempre vivono curdi, turcomanni, arabi e siriaci.
L’insieme di queste condizioni ha posto la città nel disegno di Abu Bakr al-Bagdadi per il suo Stato Islamico, la cui parabola sembra destinata a chiudersi con l’offensiva a Tal Afar, una delle ultime roccaforti di daesh in Iraq, a ovest di Mosul. È di ieri la notizia dell’avvio delle operazioni militari a Tal Afar. Secondo Rudaw, la XI brigata dell’esercito iracheno e i paramilitari del Hashd al-Shaabi (le Forze di mobilitazione popolare sciite) avrebbero occupato l’area di al-Askari, a ridosso della parte centrale della città. Secondo le previsioni dell’esercito di Baghdad, gli scontri dovrebbero concludersi entro i primi giorni di settembre.
Assieme a Tal Afar, sfiancata dalla stretta imposta per mesi dal Hashd al-Shaabi, l’altra città chiave della resistenza dell’ISIS è Hawija, situata a sudovest di Kirkuk, città quest’ultima che a partire dal 2013 è stata colpita da attentati terroristici e da azioni di guerriglia di intensità crescente. Nel giugno 2014, quando Kirkuk sembrava pronta a cadere nelle mani dell’ISIS, i peshmerga curdi riuscirono a difenderla, assieme ai suoi giacimenti. Tra i testimoni di quei giorni difficili c’è Sakar, la cui esperienza serve a comprendere come si vive oggi nel caos iracheno. Quindi, per una volta, scansiamo le news d’agenzia, gli aggiornamenti dal campo di battaglia e il frastuono delle detonazioni, a favore di una testimonianza diretta.
«Un giorno mio padre era andato nel quartiere Rahimawa (Kirkuk nord) in visita ad un amico» spiega Sakar, rivivendo uno dei momenti più difficili della sua vita. Mentre l’uomo era da quelle parti ha avuto inizio un attacco suicida. «In quei giorni iniziava il tempo dell’ISIS e tutti in seguito hanno confermato fossero dei terroristi di quel gruppo», continua la ragazza. «Mio padre nella confusione ha individuato un attentatore che voleva farsi esplodere. Lo ha preso di forza abbracciandolo per impedirgli di andare nel mezzo della folla, e una volta a terra il terrorista si è fatto esplodere. Sono morti entrambi. Mio padre ha salvato molte vite».
Nel raccontare la vicenda Sakar mantiene un atteggiamento composto, controllato, quasi il tempo fosse riuscito a colmare il vuoto della perdita. La incontriamo in una stanza adibita a centro di formazione per parrucchiere ed estetiste, all’interno della sede di Focsiv a Kuirkuk. Nel mezzo della sala, una poltrona da parrucchiera si riflette sullo specchio circondato da pennelli per il trucco, forbici, flaconi di liquido struccante, ampolle variopinte dello smalto per unghie, vaporizzatori, fiocchi, brillantini, pettini, phon e un’infinità di aggeggi in buona parte sconosciuti a chi scrive. Sono i parafernalia di Sakar, che in questo luogo ha trovato un lavoro prezioso come la vita, voluto con forza e svolto con la passione di chi ha scoperto un talento, riuscendo a imporlo sebbene da queste parti il concetto di “professionalità” non rientri nell’universo femminile.
Tutto ha avuto inizio un paio di anni fa. «Ho fatto un corso di estetista organizzato da Iscos e Focsiv della durata di due mesi. Si è svolto proprio in questa sede di Kirkuk». Al termine delle lezioni Sakar ha continuato ad esercitarsi in autonomia, a casa, dove è riuscita a creare un piccolo salone di bellezza per le donne di famiglia e per le conoscenti, ma era solo il principio.
«Dopo qualche tempo sono stata contatta da Focsiv e ho iniziato a tenere io dei corsi per nuove allieve». Uno dopo l’altro i programmi della durata di un mese si sono succeduti con successo, assieme a quelli di sartoria e cucito organizzati in un’altra stanza, distante pochi passi dall’altra parte del corridoio. Imparare un mestiere per le donne di Kirkuk non è un affare da poco. L’iscrizione deve necessariamente passare per l’approvazione della famiglia. Le allieve, a partire da quelle giovani in età da marito, hanno bisogno di qualcuno che le accompagni e che le venga a prendere. Un garante insomma, dell’onore e dell’integrità della donna e della famiglia. ottenere il consenso però, segna l’incipit del cambiamento. È l’occasione per uscire, per rompere una routine che da queste parti inizia in giovinezza e prosegue anche dopo il matrimonio, sotto la responsabilità di un’altra figura maschile.
«Kirkuk è una città molto difficile in cui vivere, in particolare per le donne perché è una società molto chiusa. Però chi viene qui a fare un corso di formazione, al termine avrà la possibilità di cercare un’occupazione, da praticare in modo autonomo. È importante per le donne di qui, che già devono affrontare molti ostacoli nel mondo del lavoro e che faticano a ritagliarsi un ruolo nella società. Nel peggiore dei casi, se alla fine del corso non trovano un posto, possono comunque praticarlo in casa per la famiglia o per altri».
Una delle principali soddisfazioni di Sakar è la consapevolezza di fungere da catalizzatore per le donne del luogo, musulmane, cristiane, arabe o curde che siano. «Quando iniziamo i corsi, la prima ora la usiamo per conoscerci. Ognuno parla, espone le proprie idee e questo aiuta a creare un legame che spesso si protrae anche oltre le ore in aula o la durata del corso». Per molte ragazze il centro Focsiv è la prima occasione che hanno di uscire, di creare legami e amicizie oltre la cerchia famigliare. «Gran parte di loro desidera avere l’occasione di iniziare a lavorare… alla fine (delle lezioni) c’è una festa e viene rilasciato un certificato di partecipazione, assieme a un kit di strumenti donato per consentire di proseguire a lavorare anche a casa».
Dopo il corso non sono solo le esercitazioni a proseguire, ma anche i legami tra le allieve, rafforzati dalle chat o da un gruppo su Facebook. Gli stessi social media usati dai miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi per fare proseliti agli albori del califfato, oggi usati da un pugno di donne per rivendicare un’identità sospesa nel limbo iracheno, dove per uscire dall’ombra serve coraggio, anche solo per impugnare pettine e forbice.
@EmaConfortin