La decisione sulle regole per giudicare le dispute commerciali tra investitori e stati fa traballare il negoziato Ue-Usa.
Bruxelles – Qualcosa è cambiato per il negoziato transatlantico su commercio e investimenti quando la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, si è vista recapitare una richiesta di risarcimento di 4,7 miliardi di euro da parte del colosso dell’energia svedese Vattenfall per aver ordinato la graduale chiusura delle centrali nucleari tedesche dopo la catastrofe di Fukushima.
Gli Svedesi lamentano la perdita dei capitali investiti in due centrali in Germania e invocano una clausola di un trattato energetico ratificato da Berlino che protegge gli investimenti dei privati in un altro stato. La clausola è contenuta in oltre 3.000 accordi internazionali e consente la soluzione delle dispute tra investitori e stati (Investor-State Dispute Settlement, ISDS) attraverso un arbitrato privato, e non tramite i tribunali pubblici competenti, ritenuti non imparziali quando devono sentenziare su espropri o trattamenti discriminatori ai danni di investitori stranieri.
Vattenfall si ritiene appunto vittima di un esproprio arbitrario, nonostante la decisione di chiudere le centrali nucleari venga da un governo legittimamente eletto e per far fronte a una preoccupazione ambientale largamente condivisa dall’opinione pubblica tedesca.
Dopo questo smacco, la Germania è diventata il più convinto oppositore dell’inserimento dell’ISDS nel possibile accordo di libero scambio e per gli investimenti tra Usa e Ue. “A noi non interessa migliorare la clausola. Noi vogliamo che sia cancellata dall’accordo” dice l’europarlamentare tedesco Bernd Lange, che presiede la potente commissione affari commerciali del Parlamento europeo, e in questo dibattito si fa portavoce del punto di vista più diffuso nell’opinione pubblica tedesca e nel governo di Berlino.
Eppure, più che della coerenza, questa posizione sembra figlia dell’opportunismo. Le multinazionali tedesche sono tra i principali utilizzatori al mondo dell’ISDS contro paesi in cui hanno investito, secondo i dati dell’UNCTAD, l’organo delle Nazioni Unite che si occupa di commercio. Tra i casi più recenti spicca una causa intentata da Deutsche Telekom contro l’India nel 2013 a seguito del passo indietro di Delhi sullo sviluppo del broadband via satellite, divenuto troppo costoso per le finanze pubbliche indiane. La Germania è inoltre il primo paese ad avere introdotto l’ISDS in un accordo internazionale – il trattato bilaterale sugli investimenti con il Pakistan del 1959 – e ne è stato uno dei principali promotori al mondo, inserendo la clausola in decine di trattati.
Evidentemente Berlino teme che le multinazionali Usa possano avvalersi in Germania degli stessi poteri esercitati altrove dai giganti tedeschi.
L’impuntatura teutonica rischia però di diventare il principale collo di bottiglia nel negoziato per un accordo transatlantico, già di per sé molto complesso. Per gli Americani, infatti, la protezione degli investitori attraverso arbitrati internazionali è una condizione irrinunciabile dell’accordo con l’Ue. “La clausola ISDS deve far parte dell’accordo. È un meccanismo cruciale di garanzia per gli investitori, che altrimenti non investirebbero in un paese straniero” spiega l’ambasciatore Usa a Bruxelles, Anthony Gardner, uno dei principali attori nel negoziato in corso. La posizione Usa è piuttosto logica. Se i Tedeschi sono stati i pionieri dell’ISDS, gli Americani ne sono di gran lunga i principali fruitori. Circa un quarto di tutte le dispute avviate nel mondo usando l’ISDS sono partite da multinazionali americane, e l’85% delle cause sono contro paesi in via di sviluppo.
Qualcuno forse dovrebbe indignarsi, ma non certo in Europa. Nel 2013, i paesi leader per l’uso di questa clausola sono stati Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania e Stati Uniti. Di recente il ricorso all’ISDS si è decuplicato passando a oltre 50 dispute all’anno contro una media di meno di cinque negli anni Novanta.
I legali delle multinazionali sono sempre più consapevoli dei poteri concessi loro da tali clausole. Nel 2013, circa il 90% dei giudizi nel merito espressi con un arbitrato hanno accolto i reclami delle multinazionali. Aumenta inoltre l’entità delle compensazioni. Nel 2012, l’Ecuador è stato condannato a pagare la cifra record di 1,7 miliardi di dollari al gruppo petrolifero americano Occidental per aver interrotto una concessione sui giacimenti nazionali. Alcune cause recenti hanno suscitato clamore per il loro carattere a dir poco controverso. L’Uruguay e l’Australia sono stati citati in giudizio dalla multinazionale del tabacco, Philip Morris, per aver introdotto leggi che disincentivano l’uso di sigarette e quindi indirettamente danneggiano gli investimenti del gruppo.
Il Canada deve far fronte a una causa milionaria avviata dalla compagnia petrolifera Usa, Lone Pine Resources, dopo che il governo del Quebec ha vietato le attività di estrazione di gas e petrolio di scisto nel suo territorio.
Non tutti i casi sono così controversi. I piccoli investitori italiani detentori dei cosiddetti tango bond considerano un atto di giustizia la decisione di un mediatore privato di accogliere la loro causa (inoltrata grazie a un ISDS) contro l’Argentina per aver ristrutturato il suo debito pubblico dopo il crash del 2001, riducendo a spazzatura i loro investimenti. I gruppi ambientalisti non sempre gridano allo scandalo quando si ricorre agli ISDS. La recente decisione delle autorità italiane di tagliare retroattivamente gli incentivi al fotovoltaico potrebbe essere sfidata da investitori stranieri con arbitrati internazionali, con il sostegno dei gruppi verdi pro rinnovabili.
La casistica mostra che questa clausola, seppur abusata recentemente, ha una ragione di esistere. Una riforma appare necessaria, per esempio riducendo il campo di applicazione della misura, e permettendo che le decisioni prese dai mediatori privati siano soggette ad appelli, magari in un tribunale dedicato esclusivamente a questo scopo. È questo il possibile punto d’incontro tra Europei e Americani per far sì che il negoziato transatlantico non s’impantani.
Sempre che la questione non venga strumentalizzata da chi è a prescindere contrario all’intesa.
La decisione sulle regole per giudicare le dispute commerciali tra investitori e stati fa traballare il negoziato Ue-Usa.