
Continua a snobbare l’inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, ma lunedì il generale Khalifa Haftar, comandante in capo delle forze armate dell’Est, è volato a Mosca a caccia di forniture militari. È partito dal Cairo – dove avrebbe avuto incontri preliminari con una delegazione russa – a conferma dell’asse privilegiato con l’Egitto, suo principale sponsor, da cui ha ricevuto la promessa di sostegno logistico, addestramento ed armamenti.
In teoria in Libia vige ancora l’embargo sulla vendita di armi, che di fatto è sempre stato costantemente violato, sia da parte delle forze di Haftar, sostenute da Egitto ed Emirati Arabi, sia da quelle di Tripoli, appoggiate prevalentemente da Turchia e Qatar. Il governo di unità nazionale guidato da Fayez Serraj, che ha il consenso dell’Occidente ma non controlla l’intero territorio libico, spinge affinché le Nazioni Unite tolgano formalmente l’embargo, in modo da ricevere forniture consistenti e completare l’assalto allo Stato Islamico (il quale, nella sua roccaforte, Sirte, sta subendo l’offensiva delle forze di Misurata, principale player e principale braccio armato del governo unitario).
Perché, allora, Haftar è andato in Russia? Mosca sta con l’Egitto – e quindi con il generale che boicotta il governo unitario e persegue una propria agenda in Cirenaica – oppure con la comunità internazionale? Non è la prima volta che Haftar va da Putin con la lista della spesa. In passato, però, non ha ottenuto grandi risultati, se non la consegna, per via indiretta, attraverso gli Emirati Arabi Uniti, di quattro elicotteri d’assalto.
In questo momento il generale non sta dando la caccia ai terroristi dell’Isis a Sirte – come sembrava sul punto di fare settimane fa – ma è impegnato ad eliminare la presenza delle residue forze islamiste a Bengasi e a Derna, per avere in mano la Cirenaica. Al tempo stesso, ha rifiutato categoricamente di formare un comando militare unificato assieme alle forze che sostengono Serraj, e quindi di riconoscere il governo insediato a Tripoli. Il boicottaggio dell’unità nazionale da parte dell’Est avviene anche sul piano politico, dal momento che la Camera dei Rappresentanti di Tobruk, guidata da Aguila Saleh, continua a non votare la fiducia all’esecutivo, come invece prevederebbe l’intesa firmata lo scorso 17 dicembre dai due fronti a Skhirat, in Marocco.
In questo contesto, i russi hanno una posizione ambigua. Dal punto di vista formale, sostengono l’accordo di unità nazionale (del resto, anche l’Egitto lo fa). Allo stesso tempo, però, sono un partner forte del Cairo ed hanno un legame con Haftar che va tenuto in considerazione. Mosca continua a ripetere che l’intesa unitaria è la strada da perseguire, ma che il voto favorevole del Parlamento di Tobruk è essenziale (mentre ormai l’Occidente, stanco dei continui rinvii, è andato oltre e si è “accontentato” di una dichiarazione di sostegno di 101 deputati).
Alcune mosse delle ultime settimane fanno pensare che i russi, pur non disconoscendo l’asse Haftar-Egitto, si stiano avvicinando all’Occidente. Lo scorso 15 giugno Mosca ha votato sì alla risoluzione Onu che rafforzava la missione navale europea “Sophia” nel Mediterraneo, estendendola al blocco del flusso di armi verso la Libia. A maggio l’ambasciatore russo nel Paese, Ivan Molotkov, aveva detto di essere pronto a fornire militarmente il governo unitario libico, nel caso in cui l’embargo fosse stato tolto (ipotesi a cui sta lavorando la comunità internazionale, dopo che Serraj ha chiesto di esserne esentato). Mosca aveva così rovesciato precedenti prese di posizione, in cui si era dichiarata disponibile a sostenere con le armi Tobruk (erano altri tempi, quelli in cui il governo dell’Est veniva considerato dalla comunità internazionale il legittimo rappresentante della Libia, prima che l’Onu completasse il suo tentativo di riconciliazione).
La Russia ha più interessi in Siria che in Libia, ma anche in Nordafrica può giocare un certo ruolo. È stato lo stesso Renzi ad insistere sul fatto che Putin potrebbe spingere al Sisi a non ostacolare il processo di riconciliazione nazionale. All’epoca di Gheddafi i libici dipendevano dalle forniture e dall’addestramento dei russi. Il primo grande accordo militare tra i due Paesi fu firmato nel 1974, l’ultimo alla vigilia della caduta del Colonnello. Più di undicimila truppe sovietiche stazionarono a Tripoli, fino ai primi Anni Novanta, mentre gli ufficiali libici si addestravano a Mosca.
Putin in questo momento sta giocando una doppia partita. Lavora alla riconciliazione libica ma insiste sul fatto che debba includere Haftar e il suo esercito. Il generale è la carta più importante da giocare per chi vuole avere influenza in Cirenaica, tanto più in caso di fallimento del processo unitario. Sì all’Onu, ma con juicio. A Mosca il precedente del 2011, quando un’interpretazione estensiva della no fly zone – votata a Palazzo di Vetro con l’astensione russa – portò alla fine di Gheddafi, brucia ancora.
Continua a snobbare l’inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, ma lunedì il generale Khalifa Haftar, comandante in capo delle forze armate dell’Est, è volato a Mosca a caccia di forniture militari. È partito dal Cairo – dove avrebbe avuto incontri preliminari con una delegazione russa – a conferma dell’asse privilegiato con l’Egitto, suo principale sponsor, da cui ha ricevuto la promessa di sostegno logistico, addestramento ed armamenti.