Il Governo Hollande è senza bussola nella tempesta economica.
Le promesse impegnano solo chi ci crede” recitava l’ex Presidente francese Jacques Chirac.
Il suo successore, François Hollande, ha rinnegato l’impegno di Parigi a ridurre il deficit di bilancio al 3% del Pil, annunciando che l’obiettivo sarà raggiunto semmai nel 2017.
Secondo la Commissione europea, il disavanzo francese sarà del 4,4% nel 2014 e del 4,5% l’anno seguente. Nel 2016 Parigi (con il 4,7%) presenterà il deficit più alto della zona euro.
Il ministro delle Finanze Michel Sapin ha ribadito che il governo non intende ridurre le spese pubbliche oltre i 50 miliardi di euro previsti da qui al 2017. Hollande ha così delineato la linea della politica economica francese per i prossimi anni. Parigi promette di risparmiare sulla spesa pubblica e di introdurre profonde riforme, ma rifiuta di piegarsi alla mannaia del 3%.
Con una disoccupazione del 10% quasi, che colpisce circa 3,5 milioni di persone, il governo s’impegna al rigore, ma esige che questo sia progressivo in modo da non deprimere del tutto la domanda interna. Nel terzo trimestre 2014, la crescita francese è stata dello 0,3%.
A differenza di altri paesi europei; Spagna, Portogallo o Italia; la Francia molto probabilmente otterrà via libera, pur condizionata e soggetta a restrizioni, dalla Commissione europea all’infrazione delle regole. Parigi gode un trattamento di favore per il peso della sua economia (la seconda della zona euro) e per motivi politici. L’Unione europea si è costruita attorno all’asse tra Parigi e Berlino e la Germania non può immaginare una rottura, sarebbe la fine dell’Ue. Malgrado le preoccupazioni sempre più grandi per l’andamento dei conti francesi, il compromesso è inevitabile.
I mercati sembrano averlo capito, al punto di considerare la Francia in qualche modo sotto l’ombrello tedesco. Malgrado i risultati economici deludenti e il fatto che la Francia da 40 anni (con una breve eccezione alla fine degli anni Novanta) non presenta un bilancio a pareggio – nonché il debito pubblico che si avvicina al 100% del Pil – i tassi d’interesse del debito nazionale francese rimangono (per ora almeno) molto bassi: circa l’1,4% per i titoli a 10 anni.
Parigi punta a guadagnare tempo per lanciare riforme con lo scopo di rinforzare la competitività delle imprese – il governo Hollande ha approvato un piano di riduzione delle tasse alle aziende di 40 miliardi di euro – senza deprimere la domanda interna che, altrimenti, porterebbe a una recessione profonda con conseguenze sociali e politiche drammatiche. Il Front National di Marine le Pen è diventato il primo partito del Paese alle ultime elezioni europee. Nei sondaggi Hollande è al punto più basso mai raggiunto da un Capo di Stato francese, e una parte della sua maggioranza parlamentare critica sempre più i “regali” alle imprese e la politica di rigore. Una stretta ulteriore sui conti pubblici rischierebbe di far scoppiare rivolte sociali e far saltare il quadro politico a circa due anni dalle prossime presidenziali.
Nei fatti, Hollande sta realizzando riforme importanti (mercato del lavoro, riduzione della spesa pubblica, riforma territoriale, abbassamento delle imposte sulle imprese, rilancio del dialogo sociale etc.) ma arrivano con grande ritardo. Eletto con la formula della “presidenza normale”, François Hollande si ritrova a dover affrontare una situazione anormale, anzi, del tutto eccezionale. Vent’anni fa, le riforme adottate da Hollande, che mirano ora a rinforzare la politica dell’offerta senza deprimere la domanda, avrebbero portato la Francia in una situazione di social-democrazia europea matura, capace di far fronte alla sfida della globalizzazione. François Hollande sarebbe stato un ottimo presidente socialista della Repubblica francese… negli anni Novanta.
Oggi, la risposta appare timida e inadeguata. Arrivato all’Eliseo nel 2012 con le promesse elettorali tradizionali della sinistra (in sostanza, l’idea di rilanciare la domanda con maggiore spesa pubblica), ha perso oltre un anno per impostare una politica più adeguata.
Così facendo, cambiando politica a mandato iniziato verso un rinforzamento della competitività delle imprese e dell’offerta invece, ha reso la sua linea poco comprensibile per i cittadini francesi, soprattutto di sinistra. Le dichiarazioni del nuovo Primo ministro Manuel Valls (“amo le imprese”), e le posizioni del giovane ministro dell’Economia Emmanuel Macron (a favore di maggiori liberalizzazioni e della messa in discussione della legge sulle 35 ore lavorative) sono state vissute come un tradimento in seno al partito socialista.
Ma al di là dei cambiamenti in corso d’opera, la politica ondivaga di Hollande somiglia a un navigare a vista più che a una strategia. Si riforma progressivamente la Francia, si ottiene ogni anno da Bruxelles un po’ d’ossigeno supplementare per il bilancio, ma non si prende di petto il vero nodo della questione, politica ed economica.
Traumatizzato dal referendum del 2005 che aveva bocciato il progetto di un trattato istituzionale europeo e gli aveva sbarrato la corsa all’Eliseo nel 2007, François Hollande, come quasi tutti i leader francesi, non vuole riaprire la questione del salto politico europeo.
Chiuso nell’illusoria difesa della sovranità nazionale (in realtà già andata) a Hollande rimane l’infrazione delle regole di bilancio e il piccolo cabotaggio.
Il Governo Hollande è senza bussola nella tempesta economica.