“No more wars, no more walls” tempo fa durante un viaggio a Berlino, ho visto questa scritta, mi ci sono fotografata saltando pensando alla libertà riconquistata abbattendo un muro o scavalcandolo. Mentre percorrevo i resti del muro di Berlino la mia immaginazione cercava di andare a quel periodo e mi sentivo estremamente fortunata per la libertà di movimento che avevo, ma che spero di avere ancora, e per il periodo di pace in cui mi sembrava vivessimo”. Così scrivevo in un articolo il 22 marzo il giorno degli attacchi a Bruxelles. “ Oggi è una giornata difficile, si continuano a sentire le sirene, vorrei stare con i miei amici, vorrei parlare ancora con loro di Europa davanti a una birra, abbiamo tanto da dire”.
Con le parole di quel giorno terribile provo a riassumere la mia visione d’Europa in questi giorni di mini vertice a Ventotene, a pensare alle speranze della nostra generazione, generazione che non si arrende alla crisi economica, che è flessibile prima che qualcuno chieda di esserlo, che è aperta alla conoscenza dell’altro diverso da sé, che è sempre con una valigia in mano , pronta a partire ma anche a tornare.
La generazione flessibile è la speranza per l’Europa
“Il compito di realizzare l’unità europea non spetta a un imprecisabile generazione di un imprecisabile futuro, ma spettava alla nostra generazione” diceva Altiero Spinelli, il compito della nostra generazione, flessibile e “oltre i confini” è di tenere uniti i cocci e cercare di ripartire senza perdere speranza di futuro. La responsabilità di portare avanti e completare il progetto di un’Europa veramente unita, senza confini, solidale e che insieme lavora per la salvaguardia della pace. Questo in un periodo storico particolarmente difficile tra populismi, venti xenofobi e attacchi terroristici.
Sono i giovani, gli Erasmus di ieri e di oggi, la generazione più precaria di quella dei propri genitori, a loro si chiede di essere flessibili e sono pronti a farlo, sono loro che più hanno potuto fare esperienza del vero significato d’Europa, che ne hanno colto le opportunità concrete di lavorare, studiare e vivere insieme ad altre nazionalità. Per la generazione Erasmus, per chi studia e lavora in altri paesi Ue, per chi ha avuto la possibilità di vivere anche solo per un periodo all’estero, non ci sono muri, fili spinati e paure che tengano. I giovani europei sono in cerca di ponti tra generazioni e culture diverse. Una generazione che ha nel sangue lo scavalcamento dei confini. Perché i confini non devono esistere.
Questa e non altra deve essere l’Europa unita. Un luogo dove i piccoli egoismi nazionalisti non possono e non dovrebbero avere spazio, quello spazio e quelle resistenze che sembrano essere l’unico risultato negli spesso inconcludenti summit Ue.
L’Europa così com’è oggi non va, deve essere ripensata e rilanciata. Se i più colpiti dalla crisi, e quindi anche da politiche di austerità fallimentari, sono soprattutto i giovani, è allo stesso tempo da loro che si deve ripartire. Si deve ripartire con politiche di crescita economica e occupazione, politiche sociali che non lascino indietro il Sud Europa rispetto al Nord Europa. Perché senza crescita non c’è occupazione e se non c’è lavoro è inutile decantare tanto il concetto di flessibilità, perché manca la condizione prima. Se non si pensa anche ai giovani è inevitabile un divario generazionale come in Italia dove il mercato del lavoro va polarizzandosi: i lavoratori più avanti con l’età in settori pubblici e in grandi imprese del settore privato ricevono sufficienti e a volte persino eccessive garanzie mentre i lavoratori più giovani ricevono garanzie e protezioni sociali decisamente inferiori , se non nulle. Il 39%, dei cittadini europei non può permettersi una settimana di vacanza l’anno lontano da casa. Le persone a rischio povertà o già in povertà dall’inizio della crisi ad oggi sono aumentate e si tratta spesso di giovani. Non c’è tempo da perdere.
I nodi da sciogliere
Si devono pensare a politiche comuni di sicurezza e difesa, come ormai si ripete e scrive da tempo, di intelligence europea perché solo così si può contrastare il terrorismo e anche la criminalità organizzata internazionale che varca i confini. Ma è anche necessaria una presa di coscienza reale sul fenomeno migratorio, che parta dalla condivisione effettiva di responsabilità, dalla solidarietà che dovrebbe guidare l’Europa da soluzioni concrete e non da provvedimenti tampone che nulla possono fare di fronte a una realtà che non è transitoria, ma che nemmeno così impossibile da governare. Ciò senza dimenticare la protezione dei diritti umani, come avvenuto nell’accordo con la Turchia, paese che al momento vive un deficit di democrazia e diritti fondamentali. Si deve pensare a una ricollocazione e distribuzione ma soprattutto a politiche di accoglienza e integrazione vere, che tengano conto del background di un migrante e dei suoi affetti che potrebbe voler raggiungere, di un inserimento graduale nel mercato del lavoro europeo e nella società. Se non lo si fa mossi da uno spirito di umanità, si deve rammentare che l’emarginazione e la povertà rendono prede facili per il reclutamento terroristico.
Anche l’occupazione e crescita economica devono avere un posto centrale per rilanciare il progetto europeo: in Europa nel 2015, secondo Bertelsmann Stiftung si contavano almeno 22 milioni di disoccupati di questi circa la metà era disoccupata di lungo periodo , da oltre un anno senza lavoro, un terzo da più di due anni. In Italia il 27.7% dei giovani ha rinunciato a cercare un lavoro, è inattivo. Una percentuale, quella del nostro paese, più del doppio della media Ue . Eppure è dai giovani che può venire ancora qualche speranza per tenere unita l’Europa. Troppo spesso l’Europa è diventata il cavallo di battaglia di politici senza scrupoli o lungimiranza che l’ha presentata non come progetto da costruire ma come qualcosa da cui difendersi, a questo ha giovato anche un’informazione che non riesce a dare l’immagine positiva di questo sogno, una classe dirigente non sempre all’altezza del suo compito.
“No more wars, no more walls” tempo fa durante un viaggio a Berlino, ho visto questa scritta, mi ci sono fotografata saltando pensando alla libertà riconquistata abbattendo un muro o scavalcandolo. Mentre percorrevo i resti del muro di Berlino la mia immaginazione cercava di andare a quel periodo e mi sentivo estremamente fortunata per la libertà di movimento che avevo, ma che spero di avere ancora, e per il periodo di pace in cui mi sembrava vivessimo”. Così scrivevo in un articolo il 22 marzo il giorno degli attacchi a Bruxelles. “ Oggi è una giornata difficile, si continuano a sentire le sirene, vorrei stare con i miei amici, vorrei parlare ancora con loro di Europa davanti a una birra, abbiamo tanto da dire”.
Con le parole di quel giorno terribile provo a riassumere la mia visione d’Europa in questi giorni di mini vertice a Ventotene, a pensare alle speranze della nostra generazione, generazione che non si arrende alla crisi economica, che è flessibile prima che qualcuno chieda di esserlo, che è aperta alla conoscenza dell’altro diverso da sé, che è sempre con una valigia in mano , pronta a partire ma anche a tornare.