Non ha mai supportato pubblicamente il «Leave», né si è lasciato andare a dichiarazioni di entusiasmo dopo il risultato del referendum. Ma Vladimir Putin ha un chiara idea di Europa in testa che dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue non è più un’utopia.
Putin ne ha parlato per la prima volta al Forum economico di San Pietroburgo, Spief 2016, alla presenza di Matteo Renzi. «Con i nostri colleghi cinesi stiamo preparando le trattative formali per la creazione di un’ampia partnership commerciale ed economica in Eurasia, con la partecipazione dell’Unione europea e della Cina», ha detto Putin. Ma il pezzo forte è venuto dopo, quando ha aggiunto che «questo sarà il primo passo verso la formazione di una estesa unione eurasiatica, la “Grande Eurasia”».
Putin non ha fornito altri dettagli, ma ha detto che se ne parlerà più approfonditamente all’Eastern Economic Forum di Vladivostok a settembre. Intanto, ha aggiunto, «ne ho parlato ieri con il presidente della Commissione europea», Junker, anche lui allo Spief 2016.
La Grande Eurasia
Le parole di Putin sono arrivate alla vigilia del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione europea e, riascoltate ora, hanno qualcosa di premonitore.
L’uscita dall’Ue di uno dei membri più severi con la Russia – di certo il più influente nel blocco “antirusso” – potrebbe essere un punto a favore. Ho già scritto che è poco realistica l’immagine di Putin che si sfrega le mani alla notizia della Brexit, ma di certo l’inatteso esito del referendum fa comodo alla Russia sotto molti punti di vista. Uno di questi è il possibile indebolimento del fronte favorevole al mantenimento delle sanzioni contro Mosca. «Non mi aspetto che ciò abbia alcun impatto sulle nostre relazioni con l’Ue e sulla politica delle sanzioni», ha detto Putin mettendo le mani avanti dopo l’esito del voto britannico. Ma è chiaro che senza Londra, il lavoro del Cremlino per rompere l’asse dei sanzionisti è più facile.
Il nuovo progetto lanciato da Putin è un’altra mossa in questa direzione. Che però sembra nascondere, dietro il suo nome altisonante, tutta la debolezza di Mosca all’indomani della crisi ucraina. Quasi in tentativo disperato di uscire dall’isolazionismo in cui si è ficcata.
Da Lisbona a Vladivostok
Un’unione transcontinentale dall’Atlantico al Pacifico non è un’idea nuova. L’Europa unita «da Lisbona a Vladivostok
» è quasi un vecchio pallino di Putin. Un concetto geopolitico che torna di tanto in tanto nei suoi discorsi e che pesca nel neo-eurasiatismo di Aleksandr Dugin, il filosofo tanto amato dalle destre europee.
Una visione cara anche ad Angela Merkel, che pochi giorni fa a un congresso della Cdu ha proprio detto di sperare «nello sviluppo di rapporti tra la Russia e l’Area economica europea che possano portare a una comune area economica da Lisbona a Vladivostok».
La Grande Eurasia di Putin si dovrebbe fondare sull’Unione economica eurasiatica – già realtà – che farebbe da perno tra l’Unione europea a ovest e Cina e India a est. Il punto, però, è che in mezzo c’è Kiev.
L’Ucraina è sempre stata il tassello principale del progetto eurasiatico di Putin, un progetto che andava ben oltre la semplice eliminazione delle frontiere tra gli attuali cinque paesi ex sovietici (Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Russia). Era quell’elemento capace di dotare la nuova entità di un carattere pan-slavo e – in assenza di una base costituente ideologica – di un’identità riconosciuta a livello internazionale come l’Unione europea. E Putin l’ha persa nel momento stesso in cui se n’è preso un pezzo.
L’annuncio fatto a San Pietroburgo ha tutto il sapore di un tentativo di salvare un progetto sulla via del fallimento. Un tentativo che senza la Gran Bretagna ha qualche possibilità in più di successo.
@daniloeliatweet
Non ha mai supportato pubblicamente il «Leave», né si è lasciato andare a dichiarazioni di entusiasmo dopo il risultato del referendum. Ma Vladimir Putin ha un chiara idea di Europa in testa che dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue non è più un’utopia.