I venezuelani che vogliono un referendum sul governo di Nicolas Maduro stanno “marciando” su Caracas. A piedi, dallo stato di Amazonas distante 700 km dalla capitale, stanno arrivando i rappresentanti di 20 etnie indigene. Da altre città sono partite decine di organizzazioni civili. Un prete, Lenin Bastides, cammina perché la Commissione elettorale fissi la data per il referendum previsto dalla Costituzione. Se la Guardia Nazionale continuerà a bloccarlo inizierà uno sciopero della fame.
Per l’1S, la manifestazione convocata per il 1° settembre dal Tavolo per l’unità democratica (Mud), uno dei partiti dell’opposizione che a dicembre ha vinto le elezioni legislative, la disponibilità a manifestare giovedì è salita al 34% rispetto al tradizionale 10%, stando a un sondaggio Datincorp,
L’appoggio al chavismo è crollato negli ultimi mesi, secondo un’inchiesta della Keller & Asociados: dal 72% nel 2005 e il 50% nel 2012 all’11,6% di luglio 2016.
La situazione è complessa, spiega il direttore di Datincorp, Jesús Seguías. “Il chavismo, per quanto disorientato e diviso, conta su una solida forza di coazione: un partito con 4 milioni di militanti organizzati e agguerriti in ambito economico, politico, ideologico e militare; ha l’appoggio di tutte le istituzioni pubbliche tranne il Congresso; controlla le Forze Armate, le milizie e un vasto numero di collettivi armati addestrati militarmente e armati, oltre a quasi tutti i governi locali e i sindacati”.
Il crollo della popolarità del presidente lo spiegano tre record mondiali negativi: sicurezza, qualità dei servizi e fame, una parola quest’ultima incomprensibile dopo 16 anni di governi “per il popolo”. La scarsità di cibo, conseguenza di precise scelte economiche che hanno messo in ginocchio la produzione locale e mandato alle stelle la corruzione, sta mostrando i suoi più terribili effetti.
Solo in tre municipi dello Zulia in due mesi sono stati individuati quasi 1000 bambini in situazione critica di malnutrizione. Una bambina di cinque anni pesava solo cinque chili e mezzo. Ciò avviene nel paese che detiene le più vaste riserve di petrolio al mondo.
I prezzi dei pochi prodotti disponibili sono letteralmente proibitivi. Per comprare un pacchetto di assorbenti (quando ci sono) si spende il 25% del salario minimo, per un vasetto di maionese il 73%. Per un paniere familiare mensile basico occorrono 10 salari minimi. Secondo il think tank Prodavinci, l’inflazione anno suo anno ha raggiunto già il 969,9%, il che fa presagire che supererà il 1000% alla fine del 2016.
Legato alla fame c’è l’altro record, la violenza. A Caracas, la città più violenta del mondo, si uccide a coltellate un anziano per cibo e una bombola di gas, o le donne a colpi di pistola per l’auto. L’obitorio di Caracas ha registrato in un mese 535 morti violente, più che negli ultimi tre anni. Quella di Caracas “è una guerra”, si dice.
Questo il contesto in cui si prepara quella che Jesús “Chúo” Torrealba, il segretario della Mud chiama la “grande presa di Caracas“. “Il 1° settembre ci sarà una mobilitazione come mai vista prima in Venezuela”. Da una manifestazione massiccia e pacifica, i centri del potere chavista hanno tutto da perdere.
Innanzitutto, perché paleserebbe anche agli occhi del mondo che la Commissione elettorale/il governo devono concedere il referendum. “Opponendosi il governo ammette che il popolo non lo vuole più. O no?”, commenta Seguías. Una caduta del regime a ruota implicherebbe la perdita del potere nei centri nevralgici, tra cui Pdvsa, la società petrolifera statale.
Il cerchio si sta comunque restringendo perché l’An ha coinvolto nelle indagini sulla corruzione e il mal utilizzo dei guadagni petroliferi (il 95% dell’economia nazionale) delle istanze internazionali, tra cui l’Istituto per la governance di Basilea, l’Iniziativa per il recupero degli attivi rubati delle Nazioni Unite, e la Banca Mondiale.
Per scoraggiare la partecipazione all’1S, negli ultimi giorni ci sono state intimidazioni e minacce. “Risponderemo in maniera contundente a qualsiasi azione violenta nella marcia”, ha affermato il ministro della Difesa Vladimir Padrino, che dovrebbe difendere i diritti democratici imparzialmente. “Se ci saranno barricate, il chavismo aspetterà l’opposizione nelle piazze”, ha minacciato un parlamentare dello Psuv.
L’ex sindaco di San Cristobal, Daniel Ceballos, agli arresti domiciliari per motivi di salute per una condanna per proteste antigovernative nel 2014 è stato prelevato e trasferito in carcere. “Chiediamo la sua immediata liberazione”, è stata la reazione del portavoce del Dipartimento di Stato USA, John Kirby.
Due candidati presidenziali ecuadoriani in visita al leader dell’opposizione incarcerato Leopoldo López, sono stati prelevati e imbarcati su un volo dal Sebin (i servizi segreti).
Per due intimidazioni che sortiscono l’effetto opposto – richiamano l’attenzione internazionale sul Venezuela – altre insinuano paura, come l’email nel quale l’opposizione anticiperebbe che “per forza scorrerà il sangue” o l’arresto di un altro sindaco.
Le prevaricazioni contro la stampa che vanno ben oltre la censura con granate, spari, furti e arresti illegali di giornalisti, collocano il Venezuela al 139° posto nel mondo per libertà di stampa, secondo Reporter senza frontiere.
Torrealba si è appellato ai venezuelani affinché non cadano nelle provocazioni del “regime che ha bisogno di violenza”.
A confermare i timori e l’avvicinarsi di un cambiamento, alcuni personaggi del regime stanno mandando all’estero le proprie famiglie, addirittura in Australia, come Jorge Rodríguez – gli altri paesi latinoamericani non sono più considerati a prova di estradizione nel caso gli eventi precipitassero.
Seguías commenta: “Chávez sarebbe stato capace di una svolta per non perdere il potere, Maduro è un incapace”.