L’ex presidente Saleh scarica gli alleati Houti e si dice pronto a collaborare con i sauditi, a patto che cessino l’embargo e i bombardamenti. L’uomo che ha guidato il Paese per 33 anni si presenta come l’unica via d’uscita dal conflitto. Ma intanto rischia di aprire un nuovo fronte a Nord
L’Armageddon annunciato due settimane fa in Yemen tra i ribelli del Nord e le forze fedeli al governo centrale appoggiato dai sauditi molto probabilmente non ci sarà. In compenso, la via d’uscita dal conflitto yemenita, che dal 2015 a oggi, secondo le Nazioni Unite, conta più di 8mila morti, quasi 50mila feriti, più 2mila civili uccisi dall’epidemia di colera, 20 milioni di persone sulla soglia della fame, tre round di colloqui di pace falliti, e un assedio ai porti e agli aeroporti del Nord lungo dieci mesi, si chiama, ancora una volta, Ali Abdullah Saleh.
L’ex presidente dello Yemen, che lo ha governato per 33 anni, successivamente cacciato dagli Islahi (i Fratelli musulmani yemeniti) e ritornato al potere nel Nord nel 2015 grazie all’alleanza con i ribelli sciiti e con il partito Ansarullah della famiglia al Houti, vicina ad Hezbollah, ha appena dato in pasto agli yemeniti, sfiancati da tre anni di guerra, i suoi ex alleati. E lo ha fatto comparendo in tv, nella sua tv, al Yemen al Yaoum, offrendo diretta e piena collaborazione alla coalizione a guida saudita per girare pagina sullo Yemen conteso, a patto che il blocco di beni e aiuti umanitari venga revocato dalla coalizione e i bombardamenti cessino.
La mossa politica di Saleh, uno dei leader più scaltri del Medio Oriente – secondo cui “governare lo Yemen equivale a danzare sulla testa dei serpenti”- è l’azione che si attendeva da tempo e che per diversi mesi gli alleati della coalizione avevano contemplato solo come un piano B, non volendo restituire a Saleh un potere e una protezione che essi stessi gli avevano tolto nel 2011, imponendo su di lui e sulla sua famiglia sanzioni, blocco dei beni e il divieto di rientrare in patria.
Ma Ali Abdullah Saleh si è rivelato l’unica soluzione possibile per lo Yemen del Nord, adesso stretto in una morsa dall’esterno e in una trappola politica all’interno, tessuta dalle stesse milizie Houti, irremovibili sul piano militare e incapaci di intrattenere relazioni diplomatiche forti, se si esclude quella con Hezbollah, e per estensione minore con Libano, Iran, Russia, Oman e alcuni Paesi dell’Africa sub-sahariana come il Sud Sudan.
Ali Abdullah Saleh, nel suo discorso, ha chiesto con forza a tutti i leader tribali del Nord Yemen e non solo di appoggiarlo in funzione anti-Houti, al fine di isolarli politicamente e, soprattutto, militarmente. Saleh fa leva sulle sue antiche relazioni interne, sui quadri dell’esercito che lo appoggiano e su una lunga e articolata rete di poteri, favori e relazioni intessuta in 33 anni di passato governo. E ha già trovato un alleato cruciale nel Generale Ali Mohsen al Akmar, figura chiave della coalizione, vice presidente del governo Hadi e capo delle truppe lealiste di stanza nella regione del Mareb. Il Generale è l’uomo su cui le Nazioni Unite puntavano per trovare interlocutori nelle tribù del Nord e per minare dall’interno il controllo degli Houti sulla regione.
Già giovedì scorso si sono verificati violenti scontri a Sana’a tra le milizie Houti e le guardie personali di Saleh a cui si sono aggiunte altre unità dell’esercito vicine ad al Mutammar, il partito dell’ex Presidente. Gli scontri sono iniziati nell’area di al Sabaaen, vicino alla grande moschea, nel giorno della festività del Mawlid al Nabawi, il compleanno del profeta Muhammad. Una lite apparentemente banale – gli houti volevano ricoprire con slogan del loro partito gli esterni della mosche ed entrare armati all’interno dell’area di preghiera – è sfociata in una battaglia che ha lasciato sul terreno una dozzina di morti e un centinaio di feriti, allargandosi alla zona Sud, dove vive la famiglia di Ali Abdullah Saleh.
Immediatamente dopo l’annuncio in tv dell’ex presidente yemenita, a Sana’a, la capitale del governo non riconosciuto del Nord, si è diffusa la quasi certezza che le milizie houti verranno estromesse in breve tempo e che il Paese non resterà più isolato. In alcuni quartieri, lontani dai presidi delle milizie sciite, ci si attrezza sparando colpi di kalashnikov in aria per celebrare. Intanto il leader dei ribelli Abdulmalik al Houti, dal canale al Masirah, che diffonde l’ideologia del suo partito, si appella agli yemeniti affinché non cedano a questa fitna (divisione), innescata dal “tradimento” di Saleh. Del resto Abdulmalik al Houti, già alcune settimana fa, aveva accusato l’ormai ex alleato di volere portare avanti un “colpo di stato”.
La mossa di Saleh, che si ripresenta come il “vero” presidente e garante della stabilità, potrebbe aprire un nuovo fronte, del tutto interno al Nord, in un conflitto già frammentato in diverse guerre locali. Ma in termini di comunicazione sembra avere avuto l’impatto previsto sui cittadini yemeniti. La pagina Facebook “Al Mashadal Yemeni”, seguita da milioni di yemeniti ha creato un sistema di voto, chiedendo ai cittadini di scegliere Saleh o gli Houti, nel caso in cui la guerra cessasse. Solo il 14% sul 100% degli utenti del social media si è schierato con Ansarullah; tutti gli altri hanno già decretato che il vincitore assoluto di questa guerra è al Mutammar, il partito di Saleh.
Così Saleh, quantomeno nell’opinione pubblica degli yemeniti che vivono al Nord, resta ancora, sempre e comunque il Presidente. E, negoziando con i sauditi, si è già garantito l’immunità futura per sé e per la sua famiglia. Quell’immunità che non aveva avuto dal 2011 fino a oggi e che ha cercato di ottenere con tutti i mezzi politici e militari, leciti e illeciti.
@battgirl74
L’ex presidente Saleh scarica gli alleati Houti e si dice pronto a collaborare con i sauditi, a patto che cessino l’embargo e i bombardamenti. L’uomo che ha guidato il Paese per 33 anni si presenta come l’unica via d’uscita dal conflitto. Ma intanto rischia di aprire un nuovo fronte a Nord