L’espulsione dalla Russia del noto giornalista americano David Satter due giorni fa sta diventando un caso che coinvolge la libertà di stampa e l’intimidazione dei media. Si tratta sì della prima volta dalla caduta dell’URSS che qualcosa di simile che accade, ma non c’è bisogno di tirare in ballo un ritorno della guerra fredda.

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Persona non grata
Satter, ex corrispondente del Financial Times e del Wall Street Journal, autore di tre libri sulla Russia e l’ex Unione Sovietica, è stato dichiarato persona non grata e si è visto negare l’ingresso nella Federazione per cinque anni. Le autorità lo hanno accusato di aver violato le regole dei visti d’ingresso del paese soggiornando in Russia con un visto scaduto.
«Mi è stato detto che la mia presenza in Russia, dal punto di vista degli organi di sicurezza, era indesiderabile. Oltre a questo, non mi sono stati dati altri motivi», ha detto Satter. «Ma il vero motivo del mio rifiuto lo ha dato Alexei Gruby, diplomatico a Kiev. Gruby ha detto che “Gli organi competenti hanno deciso di negare l’ingresso in Russia”. Vuol dire che sono stato espulso dal paese su richiesta dei servizi di sicurezza», ha commentato poi in una dichiarazione pubblicata sul suo sito web.
Nessuno dovrebbe sorprendersi se l’FSB è dietro l’espulsione di un giornalista straniero scomodo, considerando la lunga lista di colleghi russi che hanno avuto un destino peggiore. Satter è l’autore di un libro intitolato Come Putin è diventato presidente, e la spiegazione fornita è qualcosa di lontano da ciò che a Vladimir Vladimirovich piace leggere di sé.
La riserva indiana dei manifestanti
A meno di un mese dalle Olimpiadi di Sochi, la stretta di vite su tutto ciò che potrebbe rovinare la festa sta giungendo al culmine. In un articolo sul costo dei Giochi, Satter ha scritto che «Nel 2007, quando Putin ha convinto il Comitato Olimpico a scegliere Sochi, vi erano già forti ragioni per rifiutare. I rappresentanti russi hanno presentato la Russia come una “giovane democrazia”, mentre l’opposizione politica era stata soppressa e giornalisti investigativi uccisi».
Sochi 2014 è la vetrina personale con la quale Putin vuole dimostrare al mondo che la Russia è tornata sulla scena delle superpotenze. La città di Sochi è in uno stato virtuale di emergenza: più di 30mila poliziotti sono stati dispiegati, unità dell’esercito pattugliano la zona e sei sistemi di difesa antiaerea Pantsir-S sono stati posizionati nella regione.
Le Olimpiadi si svolgeranno a poche centinaia di chilometri dalla regione del Nord del Caucaso, dove i ribelli stanno combattendo per instaurare uno stato islamico, e sono concrete le preoccupazioni per le minacce di un’insurrezione islamica in tutta la regione.
Ma dietro la bandiera della sicurezza contro il terrorismo molto è stato fatto per comprimere e limitare le libertà di espressione. Il controllo sui giornalisti ammessi a seguire i Giochi è serrato, e persino la possibilità di manifestare è stata relegata a 12 chilometri da Sochi, in una cosiddetta «zona di protesta» che somiglia più a una riserva indiana.
Io ti perdono
Nonostante «questo sia un precedente inquietante per tutti i giornalisti e per la libertà d’espressione in Russia», come ha detto egli stesso, l’espulsione di Satter non è un fulmine a ciel sereno. Chi ha visto il recente rilascio degli attivisti di Greenpeace e l’amnistia a Mikhail Kodorkovsky come segni di buona volontà e di apertura non potrebbe essere più in errore. Putin ha messo in scena un colpo di teatro e consegnato un messaggio forte tutti i potenti del mondo: mettere in carcere arbitrariamente un oligarca per dieci anni è una forma di potere assoluto, ma concedergli la grazia è una forma di grandezza.
Mentre i presidenti e capi di stato occidentali sono legati a complicati sistemi di governo che limitano il loro ruolo, l’autocrate Putin ha un controllo completo sulla democrazia guidata della Russia, cioè non solo sul suo potere esecutivo, ma pure su quello legislativo, giudiziario ed economico, incluso il potere semidivino del perdono. È la legge degli zar.
Solo poche ore dopo che a Satter è stato negato il visto, il Servizio federale della migrazione ha fatto sapere che ha il diritto di impugnare la decisione. Probabilmente un altro perdono è in vista.
L’espulsione dalla Russia del noto giornalista americano David Satter due giorni fa sta diventando un caso che coinvolge la libertà di stampa e l’intimidazione dei media. Si tratta sì della prima volta dalla caduta dell’URSS che qualcosa di simile che accade, ma non c’è bisogno di tirare in ballo un ritorno della guerra fredda.