I jihadisti hanno proclamato l’«Emirato islamico» di Bengasi.
Dopo venti giorni di combattimenti per la conquista dell’aeroporto internazionale di Tripoli tra miliziani di Zintan, vicini all’ex generale Khalifa Haftar, e i jihadisti, Scudo di Misurata, non si placano le violenze in Libia. Sono almeno duecento i morti e quattrocento i feriti negli scontri delle ultime settimane. I più gravi si sono svolti a Tripoli per il controllo dello scalo che è andato completamente distrutto.

Le violenze si sono estese anche a Bengasi, dove Ansar al-Sharia avrebbe il controllo delle basi delle forze speciali dell’esercito libico. I jihadisti hanno proclamato nel capoluogo della Cirenaica un «Emirato islamico» indipendente. Mentre lo stesso Haftar, che nella scorsa primavera aveva guidato un tentativo di colpo di stato, si è rifugiato in Egitto, dove ha incontrato l’ex generale Abdel Fattah al-Sisi, mente del golpe militare del 3 luglio 2013 al Cairo, a cui Haftar ha più volte assicurato di ispirarsi.
Gli occidentali hanno lasciato il Paese.
Gli Stati Uniti hanno evacuato il personale della loro ambasciata a Tripoli per motivi di sicurezza. Dopo l’attacco al consolato Usa dell’autunno 2012 che causò la morte dell’ambasciatore Christopher Stevens e di altri tre cittadini americani, Washington non vuole correre altri rischi. Anche Nazioni Unite, Francia, Gran Bretagna, Turchia, Arabia Saudita e Algeria hanno evacuato il personale non indispensabile dalla Libia. Degli 800 residenti italiani in Libia solo 200 sono ancora nel Paese, gli altri sono stati trasferiti in Tunisia, ma l’ambasciata italiana resta ancora aperta. Violenze, tra le migliaia di stranieri in attesa di lasciare il Paese, si sono registrate al confine tunisino dove il valico di Ras Jedir è stato chiuso, e poi riaperto, lo scorso venerdì.
Tuttavia, a pagare uno dei prezzi più alti dell’escalation libica sono i rifugiati africani. La scorsa settimana si è verificata una nuova tragedia dell’immigrazione. Almeno 20 migranti sono morti e decine risultano i dispersi nel naufragio di un barcone ad Al Khums, 100 chilometri a est di Tripoli. Secondo i migranti tratti in salvo, a bordo c’erano circa 150 persone.
Infine, proseguono le manovre egiziane al confine tra Libia ed Egitto. La frontiera occidentale con la Libia (Salloum) è stata chiusa. Sono decine i morti egiziani negli scontri di Tripoli e Bengasi, a conferma della presenza massiccia di cittadini egiziani in Libia, non solo operai e commercianti, ma anche direttamente coinvolti nella faida tra milizie, vicine a militari o jihadisti, che dilania il Paese dalla primavera scorsa.
L’esplosione del deposito di greggio.
Come se non bastasse, una forte esplosione ha distrutto lunedì il più grande deposito di greggio di Tripoli, che ospita 6,6 milioni di litri di carburante. Il deposito appartiene alla compagna petrolifera Berga e si trova sulla strada che conduce all’aeroporto, controllata dai miliziani di Zintan. Dopo l’esplosione, il governo ad interim dell’ex ministro della Difesa Abdullah al-Thinni ha fatto appello all’«assistenza internazionale» per contenere l’incendio. Il governo uscente ha parlato di imminente disastro umanitario e ambientale. Nei mesi scorsi, il fallito tentativo di raggiungere un accordo per la messa in sicurezza dei terminal petroliferi tra governo di Tripoli e separatisti della Cirenaica, è culminato nella vendita illegale di greggio al cargo nord coreano Morning Glory da parte dei miliziani di Bengasi.
I vigili del fuoco hanno tentato di domare le fiamme mentre raggiungevano una prima cisterna del deposito di greggio, ma hanno dovuto evacuare la zona quando l’incendio ha travolto nuovamente l’area. Le autorità libiche hanno chiesto ai residenti di lasciare il quartiere per il timore di nuovi incendi. Una seconda esplosione ha avuto luogo sabato nello stesso deposito.
In questo clima incandescente, si è riunita per la prima volta a Tobruk (e non a Tripoli per motivi di sicurezza) la Camera dei rappresentanti, eletta lo scorso 25 giugno con scarsissima partecipazione popolare al voto, a maggioranza laica e secolare. Vari tentativi di riunioni informali dei deputati si sono registrati nelle scorse settimane.
Dopo venti giorni di combattimenti per la conquista dell’aeroporto internazionale di Tripoli tra miliziani di Zintan, vicini all’ex generale Khalifa Haftar, e i jihadisti, Scudo di Misurata, non si placano le violenze in Libia. Sono almeno duecento i morti e quattrocento i feriti negli scontri delle ultime settimane. I più gravi si sono svolti a Tripoli per il controllo dello scalo che è andato completamente distrutto.